Collana Snáthaid Mhór – poesia irlandese contemporanea
ENDA WYLEY, risvegliarsi a questo
Traduzione di Chiara De Luca
Prefazione di Gianluca Chierici
ISBN 978-88-96263-21-1
pp. 122, € 15,00
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Parole che cercano la vita, che incarnano l’attesa. Parole che divengono immagini piene di premura – nelle scale della notte, nelle fiamme morbide della lanterna, nel legno scricchiolante del pavimento. Un sogno sfreccia e si fa guardiano, tra il corridoio e la stanza delle ninna nanne copre d’amore il sonno della bambina. Gli occhi che trovano gli occhi, la voce che si apre in un sospiro di madre. Poi le mani che stringono la camicia, la bocca umida sul petto, il nido della gola che inghiotte il latte. Delicata, nei passi lenti che ci trascinano, la pagina interiore si apre sui primi cinguettii del mattino, si sporge oltre la finestra, per guardare il sole dimenarsi nel morso di un pancake – acque, sabbie, rocce, ciuffi d’erba, come un incantesimo imperlano la parete dei versi. È un libro di minime magie risvegliarsi a questo di Enda Wyley. Un libro di segreti lucenti, di soglie arruffate tra i fiori delle guance e gli abitini gettati sulle lenzuola. Si è attraversati dalla gioia in queste pagine, da gemiti e sogni di fragole, che dalla culla si tendono come presagi. Il legame si stringe quando i corpi sono distanti, diventa nodo, chiedendo a ogni secondo lealtà e dolcezza. Tra specchi colorati e giraffe di pezza, i fogli bianchi si scrivono in fretta, prima che una carezza sfiori il piccolo cuore, e allontani ogni contraddizione. Sul bordo dei precipizi, in una memoria fatata, le poesie si fanno sempre più responsabili, amano e si lasciano amare, mentre il fumo sale dalle tazze calde e il vapore dei vetri sposa il ticchettio dell’orologio.
Ci sono mondi selvatici nel ritrovare la tenerezza, se ne si sente il profumo risalendo i sentieri delle cartoline. Fili fragili e trasparenti s’inerpicano sui visi segnati, e un’alba lieve oscilla tra le fatiche, attraversando il vento, fino al battito dei polsi, fino alle pance calde che si sfiorano. In un destino autentico, le ali dell’infanzia risalgono il diario – ci svegliano, quando il cielo è freddo, quando il richiamo della strega bianca rintocca nel cucchiaino, e ci svegliano – quando la guerra sconfina nel timore, ricordando i morti sepolti nel cuore d’ognuno. Dal battito delle piume arde questa voce universale, che setaccia giorno e notte, creando talismani nel perimetro della casa – dal regno del giardino danza verso la collina, per ridiscendere nel mondo in un profluvio di silenzi e di rinascite.
Gianluca Chierici
Clooncunny
How our hands swayed through
reeds today, brushing against joy—
the curlew calling us on in single file,
the others back in the cottage and us free,
marvelling at how we’d come this far, our voices
rising clear along the soggy path to the jetty,
the lake rippling with rudd and perch.
What comes next we can only guess,
can only wonder at where we are now,
at the top of this green, sloping field,
the quiet inside of us growing.
Clooncunny
Come oscillavano le nostre mani
tra le canne oggi, sfiorando la gioia –
il chiurlo maggiore a metterci in riga,
gli altri rimasti al cottage e noi liberi,
a meravigliarci d’esser giunti fin qui, le nostre voci
si levano limpide sul sentiero umido che porta al molo,
il lago increspato da scardole e pesci persici.
Quel che verrà possiamo solo intuirlo,
possiamo soltanto stupirci di essere in cima
a questo campo verde in pendenza,
con la quiete a crescerci dentro.
Gold Wallpaper
The night was ours—
young art students clambering up cathedral hills, not
afraid to force a window open, creak a door inwards,
brush cobwebs like a gasp of cold air from our cheeks.
We were finding old houses
to make paintings in—you, a corner of shadows to
place your easel near, while I spent evenings sketching
the way starlight fell through cracked glass and how the
bone moon creaked.
Over ancient wooden floors,
ice-blue marble mantelpieces, the dusty mattresses
with the dent of those long gone still there,
the yellow light crept, a ghost across our canvases.
Old houses forgotten by all but us.
On and on we’d wander
up avenues swirling their yew tree spells,
scraping our knees and notebooks on the forbidden
chipped sills, our pencils and brushes scraping for life
while the city below slept.
Until in one crumbling mansion,
your fingers touched mine and from the thick walls fat
with damp we stripped back seventies swirls, sixties
floral patterns, the formal fifties lines—
and found gold.
Gold wallpaper lanterns and flowers trailing
delicate stems and light up to the shattered cherubs,
the intricate cornices, the tinkling, blackened chandeliers.
So beautiful we could not paint that night—
but held hands and stared and stared.
Even now in the hush of our own home,
in the dark of our middle years, when you turn from me
in sleep, your mouth muttering dreams
I cannot know, I reach for your skin—
gold paper falling onto me from you.
Carta da parati dorata
La notte era nostra–
giovani studenti d’arte ad arrampicarsi su colline cattedrali, senza
paura nel forzarne le finestre, entrare dalla porta cigolante,
spazzarsi via ragnatele dalle guance come un alito d’aria gelida.
Trovavamo vecchie case
dentro cui dipingere – tu, un angolo d’ombre cui porre
accanto il tuo cavalletto, mentre io trascorrevo pomeriggi schizzando
il modo in cui la luce delle stelle cadeva attraverso il vetro rotto e come
la luna d’osso scricchiolava.
Su antichi pavimenti in legno,
mensole in marmo azzurro ghiaccio, materassi polverosi
ancora ammaccati dai corpi di gente defunta da tempo,
la luce gialla strisciava, spettro sulle nostre tele.
Vecchie case scordate da tutti tranne che da noi.
Avremmo continuato a vagare e vagare risalendo
i viali in cui turbinava l’incantesimo dei tassi,
raschiando ginocchia e taccuini sui proibiti
davanzali scheggiati le nostre matite e pennelli raschiavano vita
mentre la città in basso dormiva.
Finché in un palazzo diroccato,
le tue dita toccarono le mie e dai muri spessi intrisi
di umidità portammo in luce volute degli anni ‘70,
motivi floreali dei ‘60, le linee formali dei ‘50 –
e trovammo l’oro.
Lanterne di carta da parati dorata e fiori che tracciavano
gemme delicate a illuminare i cherubini in ombra,
cornici intricate, tintinnanti candelieri anneriti.
Quella notte non avremmo potuto dipingerla più bella –
ma ci tenevamo le mani e guardavamo e guardavamo.
Perfino ora nel silenzio della nostra casa,
nel buio della nostra età di mezzo, quando ti volti dall’altra parte
in sonno, con la bocca che mormora sogni
a me sconosciuti, tendo le mani verso la tua pelle –
mentre carta dorata mi cade dentro dal tuo corpo.
Notebook Shop
All the poems we might write,
gather here in these blank books
made from vellum, soft indian paper,
shelved in the corner shop on Francis Street.
But then a wind blows the door open,
the bell rings, and our thoughts float
out and up past the antique shops,
the Tivoli Theatre pounding its heart
of rehearsals, Oxfam’s sofa graveyard
and the man from the Coombe
clattering by with his horse and cart—
our unmade poems coming alive,
flapping on the seagulls’ wings,
peeping into the cages of Marsh’s library,
singing with St Patrick’s choir,
lying down in St Werburgh’s
with Edward Fitzgerald and Major Sirr.
There is no end to where our poems go—
anywhere to be free, not to be trapped
in these fine and beautiful books
that are hungry for a scribble,
a dream, the rush of a word.
Negozio di taccuini
Tutte le poesie che potremmo scrivere,
si radunano qui in questi libri bianchi
fatti di pergamena, morbida carta indiana,
sugli scaffali del negozio all’angolo di Francis Street.
Ma poi una raffica di vento apre la porta,
il campanello suona, e i nostri pensieri fluttuano
fuori per risalire oltre le botteghe d’antiquariato,
il Tivoli Theatre col cuore pulsante
per le prove, il cimitero dei sofà di Oxfam
e l’uomo da Coombe
che passa nel fragore di cavallo e carretto –
le nostre poesie non scritte prendono vita,
svolazzando sulle ali dei gabbiani,
sbirciano nelle gabbie della Marsh’s library,
cantano con il coro di San Patrizio,
giacciono a San Werburgh
con Edward Fitzgerald e Major Sirr.
Non c’è fine ai luoghi in cui vanno le nostre poesie–
ovunque per essere libere, non essere rinchiuse
in questi libri fini e belli
affamati di uno scarabocchio,
un sogno, la corsa di una parola a precipizio.
Translating Brecht
for Peter
You have been in the market
with him all month.
Nobody remembers him—
his friends, the woman
he slept with for years,
all walk right past him
or just nod politely.
He is a stranger to his own life.
Even his clothes
hanging from the line in his yard
have changed.
They are faded, patched, misshapen.
Somebody else
has been living his life in them.
But how can you say
all this clearly?
You slip into his words
awkwardly,
a stranger adjusting
another’s thoughts,
trying to make them your own—
slip German from his world,
scatter English on the page.
And all the while she rests,
her tiny head below your chin,
her fingers clutching
the top of your shirt
as though it were a rope, lowering
her down to sleep, her eyes rolling
into the whiteness of her dreams.
She squirms into your warmth,
asking to be held, to be made sense of.
Traducendo Brecht
per Peter
Siete stati insieme
al mercato tutto il mese.
Nessuno si ricorda di lui–
i suoi amici, la donna
con cui ha dormito per anni,
tutti gli passano davanti
o gli fanno appena un cenno cortese.
È straniero alla sua stessa vita.
Perfino i suoi abiti
appesi al filo in cortile
sono cambiati.
Sono scoloriti, rattoppati, deformi.
Qualcun altro
ci ha vissuto dentro la sua vita per lui.
Ma come puoi dire
tutto questo chiaramente?
Scivoli nelle sue parole
con circospezione,
uno straniero che adatta
i pensieri di un altro,
cercando di appropriarsene–
sfila il tedesco dal suo mondo,
sparpaglia l’inglese sul foglio.
E per tutto il tempo in cui lei ti riposa
con la testolina sotto il mento,
le dita si aggrappano
al collo della tua camicia
come fosse una fune, che la cala
dentro il sonno, con gli occhi che roteano
nel candore dei suoi sogni.
Si dimena nel tuo calore
chiedendo tu la tenga, le dia senso.
Enda Wyley sullo “Irish Times”