Ich fälle einen Baum
Ich fälle einen Baum
fälle ihn einfach
trotz meiner Furcht
der fallende Baum
erschlägt mich.
Immer habe ich abseits gestanden
wenn Bäume gefällt wurden
zögernd in der Entfernung
in der man Kinder hält.
Immer haben andere
getan, was notwendig war:
bei den verdorrten Pappeln
in der Allee einzementiert
beim Kirschbaum, dessen
magere Ernte die Spatzen fraßen.
Immer abseits
mit den Händen in den Taschen.
Ich will nicht sagen
daß es leicht geht
mit Axt und Säge.
Die Späne fliegen
aber es geht. Mit einem Schlag
dem letzten, fällt die Zypresse
mir vor die Füße
verdunkelt nicht mehr
mit ihrem Friedhofsschatten
meinen Tisch am Fenster.
Jetzt wieder am Tisch
ist mein Gedicht ganz hell.
Ich habe die Gebärde in Erinnerung, ständig Wolken wegschieben zu müssen. Ständig auf Zehenspitzen zu stehen, auf Zehenspitzen einzuschlafen und aufzuwachen, als sei dies das Natürlichste der Welt. Daß auch Gedichte allein auf Zehenspitzen stehen konnten, während ich am Schreibtisch sitzen blieb, das war eine schmerzhafte Erfahrung, die ich ungeduldig vermeiden wollte. Alles sollte licht und hell und durchsichtig sein bis in die Träume. Ich hatte ja meine Wünsche, die nicht nur meine Wünsche waren, begriffen, aber die Wünsche produzieren ihre eigenen Widersprüche und schließlich einen Widerwillen gegen ihre Objekte. Meistens stritt ich jedoch gegen mich selbst. NM2
Abbatto un albero
Abbatto un albero
lo abbatto semplicemente
nonostante il mio terrore
che l’albero cadendo
mi uccida.
Sono sempre stata in disparte
quando abbattevano gli alberi
esitando alla distanza
cui si tengono i bambini.
Sono sempre stati gli altri
a fare ciò che era necessario:
dei pioppi essicati
nei viali cementati
del ciliegio, la cui scarna
messe fu divorata dai passeri.
Sempre in disparte
con le mani nelle tasche.
Non voglio dire
che sia semplice
con ascia e sega.
Le schegge volano
ma va bene. Con un colpo
l’ultimo, mi cade il cipresso
davanti ai piedi
non oscura più
con le sue ombre sepolcrali
la mia scrivania accanto alla finestra.
Ora di nuovo alla scrivania
la mia poesia risplende.
Conservo nella mente il gesto di dover spingere via nubi di continuo. Stare di continuo in punta di piedi, in punta di piedi addormentarmi e svegliarmi, come fosse la cosa più naturale del mondo. Il fatto che anche le poesie possano stare in punta di piedi da sole, mentre io resto seduta allo scrittoio, fu un’esperienza dolorosa, che da impaziente quale sono avrei voluto evitare. Tutto doveva essere chiaro e luminoso e trasparente perfino nei sogni. Certo avevo afferrato i miei desideri, che non erano soltanto miei, ma i desideri producevano le loro contraddizioni e infine un’avversione contro i loro oggetti. Litigavo soprattutto con me stessa. NM2