COLLANA CHIARA – Poesia italiana contemporanea
STEFANO SERRI, Diario di un risorto
Isbn: 978-88-99274-17-7
pp. 338, € 12
Ciò che contraddistingue la voce poetica di Serri e la rende, qui, come e ancor più che nelle opere precedenti, luminosa e cristallina è la musicalità insita nel verso, piegato, anzi, assimilato a un ritmo armonioso e costante, privo di cedimenti, lavorato con pazienza. Assistiamo qui anche a una rinascita della lingua, a una felicità di scrittura, nell’impossessarsi della materia, per ricreare, dicendola, la propria intera esistenza, mettendola in luce, o meglio, dandola alla luce. Per il risorto il buio è alle spalle. Tutto, anche i ricordi, anche il dolore, avvengono nel presente, al cospetto di una nuova consapevolezza che li ammanta di senso. La scoperta e riscoperta di sé sono osservate con l’occhio limpido e avido del bambino, tenuto per mano dall’adulto divenuto consapevole della propria fragilità e debolezza. Le persone care vengono abbracciate con delicatezza, descritte con cura attenta alla loro più intima natura. Anche gli assenti vengono celebrati nella propria essenza, ripercorrendo i loro luoghi, toccando e accarezzando gli oggetti che ne evocano la presenza, esorcizzando il dolore, senza mai cancellarlo. Perché per Serri la memoria è materia altrettanto preziosa, da versare nel calco del ricordo, da osservare alla luce perché perduri.
Dalla prefazione di Chiara De Luca
Scuse del poeta
Se non sono risorto spingendo
tutta la polvere via dalla porta
se nel campo ho lasciato marcire
la spiga – non volevo colpirla –
se al vento non ho opposto il respiro:
scusate se non sono vissuto
abbastanza curioso sul dopo.
Perdonate a un poeta
il motore truccato
la fine delle ali.
Ho smosso qualche sasso: credevo
che un po’ di verde ne sarebbe nato.
Le rotaie non le ho accompagnate
trascurando stazioni – era un viaggio
dietro sbarre continue: ignoravo
che in terra ogni crepa è una rotta.
Forse il muro aspettava parole
e in certe pietre era inscritto il nome.
Le pareti della stanza troppo azzurre
e finestre troppo aperte…ma un poeta
se non scrive sulla luce a cosa serve?
DIRE IL COLORE
Dire il colore delle cose insegna
gioia per le sfumature e il mondo
preso anche da lontano – tra sputi
gradini in salto e i baci del saluto.
Il trionfo del sorriso
dentro i baffi di gelato
elimina ogni calcolo: la storia
giunge a purezza enciclopedica.
Con rumore di crescita
mi abbracci dentro questa estate scalza.
Rifletti nel tuo occhio il mondo intero
quasi salvo dal battito di ciglia
fragili e chiarissime: allora
so che non è perso il tempo speso a nascere.
NEL SOLE
Scordalo nel sole di essere
creatura buia: più diventiamo chiari
più la speranza si cura di noi
per resistere al passaggio e non crollare.
Esprimiti nel sole quando declina:
ricopri la finestra con l’azzurro del giorno prima –
e se un raggio dall’incontro scappa
non credere sia inutile coraggio
questo viaggio di luce senza mappa.
SALMO SENZA SUONI
Pregherò fino a benedirti senza suoni –
ma Dio perché con me tu
non ragioni ma reagisci
con una combustione che mi fa
ardente un attimo ed estinto
perché tu non ti radichi per sempre
perché non impedisci all’accidente
lo strappo di quel mio dente di fango
che a te s’attacca estirpa tutto il latte
latte d’immensa carità sorretta
da un grande desiderio d’essere…
ma vogo esisto eppure
m’accartoccio: padre: m’hai rotto
il meccanismo interno del perfetto
e ora sperso dentro la tua mano glande
io spargo gemiti d’urgente
prendimi come se fossi niente
trattienimi fiato diamante.
SGUARDO STASI E STANZA
1.
il soffitto è la mia prospettiva
visione obbligata – unica natura –
in un angolo di stanza: primavera
nel secondo: la sera e in un altro: il nero
l’intonaco mi cattura
il soffitto s’innamora del mio sguardo
prigioniero che ritrova il suo sentiero
vive due vite chi non si è arreso
2.
lo so che dovrai togliermi pian piano
la forza in ogni muscolo del corpo
così che non potrò più contrastare
le foglie che mi cadono davanti
le fughe della neve giù dal cielo
né battere le mie due mani insieme
quando gli attori escono di scena:
ti prego solamente di lasciarmi
i muscoli per l’ultimo sorriso
3.
ostìnati: poètati: trova rima
anche nello schermo vuoto di parole
tu musica anche il non ancóra suono
e il fragore informe del presente gorgo
fatto di tubi di chiasmo di laccio:
tu sopra il male prova a librarti
scóvati ritmi e rime nelle vene
dalle nostre frasi quotidiane:
ognuna avrà una propria scusa
per accoppiarsi nel poema chiesa
del matrimonio tra parole e cose
che celebriamo nelle nostre case
4.
cosa so dello splendore che ci attende?
solo un presentimento brucia intorno
di luce ancóra forte dopo il fuoco…
tocco le cartilagini del buio
la stanza è una fossa di vita
bianco aguzzo – angolo smusso
una marea di sguardi che svanisce:
il corpo io me lo tocco anche da fermo
rimesso a letto nel suo vestito:
finite le scosse le frane i sussulti
dopo stragi di polso e respiri conato
ho capito la fine: sale il mio fiato
5.
è venuta la morte a rasarti
toglie il ruvido il brusco lo spigolo
e negli occhi si accoccola il corpo
(è il vicino di casa è il paese)
sopra il letto su sedia o divano
ogni giorno qualcuno s’estingue
io mi addormento ma torno
perché il tempo una volta innestato
poi ti esplode nel cuore che ami
(anche al buio sorridi: mi vivi)
6.
da te che amo capisco che è duro
per il creatore partorire gioia
duro come dare colpi a un petto
come scorza adesa al tronco:
si fa cava ama la linfa
spinge in alto con carezza
lui che è eterno e sa che crea
chi ha fine già dentro il genoma:
è duro amare noi sparsi granelli
duro restarsene dritti nel vento
flettere vertebre giù fino al fango –
ma tutto questo è la sola armatura
che sfiora dentro e che senza paura
in ogni ora intuisce la gioia
se non stringi l’oggi è già domani:
i pugni non sono la casa delle mani
7.
non ho fretta: ricomincio ancóra
a interpretare il flusso dei tuoi occhi
li chiudi un attimo tra sogno e memoria:
ricomincio: leggo la tua storia
di corpo immobile: è una mancanza
che scalza intorno il sangue
il corpo pareva quasi scoria
ora è cosa cara in mano nuova
fermo: eppure scendo ancóra:
ascesa apnea la gioia