Francesco Benozzo
DAVID BOWIE. L’ARBORESCENZA DELLA BELLEZZA MOLTEPLICE
[con allegato il CD “YTIDDO – BPB / Benozzo Performs Bowie]
Pordenone, Safarà editore / Universalia, 2018
(Prima uscita il 22 novembre)
160 pp.,13 €
“[…] Questo alieno neoclassico, questo cavaliere errante nei regni dell’ambiguo, col suo spudorato narcisismo, col suo agitato pudore, con le sue maschere spersonalizzanti e autorevoli, ha creato di continuo mondi che prima non c’erano. Poiché le sue enormità artistiche sono realmente accadute, ogni cosa che possiamo immaginare dopo di lui può davvero esistere. Questo è un potere donatoci dai grandi creatori di immaginario, uno dei motivi per cui l’arte di Bowie ci chiama a sé anche quando non la comprendiamo del tutto. Ci sono artisti che consolano e diventano un rifugio, altri che irrompono nelle certezze e indicano nuove direzioni. Bowie incarna l’artista a monte di queste categorie: egli è un generatore di mondi, un demiurgo eterogeneo che non cessa di trasformarsi. Ogni realtà diventa possibile dentro di noi grazie alle realtà create dalla sua arte, che, come in un viaggio iniziatico, indica soglie e si fa soglia percettiva. Dopo di lui, poiché quello che ha fatto è esistito in una realtà fruibile, possiamo anche immaginare che Dio sia esistito o esista, e pensare che parli francese o cinese; possiamo domandarci se ciò che incontriamo nei sogni sia invece la realtà; e possiamo guardare la nostra mano e avvertire che il sangue che vi scorre si muove al ritmo di Sons of the Silent Age […]”.
“[…] Effetto dell’arte di David Bowie su di me: pur avendo io lottato e lottando per le opinioni fluttuanti, pur pensando di resistere ai dogmi e agli slogan, pur avendo tentato di indicare direzioni antiautoritarie e anarchiche anche nei territori che ne sono da sempre refrattari, io intuisco e invidio le sue opinioni fluttuanti, la sua capacità di non infeudarsi ai dogmi e agli slogan, e quasi arrossisco per il disagio di rendermi conto, nel confronto a cui la sua arte mi obbliga, di avere anche io una mia verità e per sentirmene alla fine schiavo. I modi di essere della sua musica sconvolgono non soltanto le certezze ma, ancora prima, l’illusione di non avere certezze. Un’inclinazione che in alcuni instanti della sua fantasmagorica galassia artistica affiora come vera e propria autocoscienza. Con Bowie accade insistentemente proprio questo: che il molteplice viene tolto al suo stato di predicato per diventare e ridiventare un sostantivo. Bowie non è stato un artista molteplice. Egli è il molteplice artistico […].
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