COLLANA CHIARA
Poesia italiana contemporanea
ANDREA AMOROSO, L’ora prima del giorno
Con una nota di Chiara De Luca
ISBN 978-88-96263-60-0
pp. 140, € 12,00
Leggendo il bel titolo di questa raccolta, si viene dapprima catturati dal ritmo e dalla musicalità, dalla suggestione delle singole parole, la cui naturalezza sospende l’indagine della percezione. Poi, rileggendolo, viene da chiedersi dove sia da situarsi di preciso “l’ora prima del giorno”, a quale frazione temporale si riferisca. Alla notte? All’alba? Al primo spuntare del sole? D’istinto avvertiamo la necessità di un appiglio, per sapere con che piede partire, come posarlo sulla terra fragile del foglio, in che direzione. Ma è soltanto addentrandoci nella materia del libro, per vivere e sentir ticchettare l’ora prima, che ci sarà possibile collocarla. E per farlo dovremo spogliarci di ogni condizionamento legato alle consuetudini e alle convenzioni del nostro quotidiano. L’ora prima del giorno è infatti una soglia fluttuante, dove il piede vacilla su suolo instabile, e gli occhi si affacciano su quel che nasconde la piena luce del giorno, così come l’oscurità della notte. L’ora prima è una penombra, un graduale e incostante disvelamento crepuscolare collocato, o spostato, al di fuori dello spazio e del tempo, è luogo privo di coordinate e di confini, da cui il poeta osserva il mondo, tra luci e ombre e variazioni, per restituire il particolare colto senza nascondimenti, squarciando il velo dell’oscurità diurna, quella luce accecante d’ipocrisia e luoghi comuni che giornalmente ci abbaglia. Nell’ora prima del giorno la luce non è mai uniforme. È tutto un variare di bui improvvisi e repentini illuminamenti, di svanimenti e lampi in cui restare muti per raccogliere parole da gridare. Nell’ora prima del giorno le immagini si accumulano, rompendo i nessi semantici e sintattici usuali, si presentano sul foglio così come riemergono alla coscienza dal magma instabile dell’esperienza. Andrea Amoroso costruisce sapientemente accumulazioni di immagini e suoni, per poi scarnificare la lingua fino ai margini del silenzio. Il verso ora si dipana come a “inglobare” persone luoghi e situazioni, ora di colpo di spezza, frangendo il ritmo, in una pulsazione intermittente che scandisce quel che avviene tra i minuti, nelle intercapedini delle ore, nei solchi lasciati inseminati dalle nostre parole abusate, usurate, che non esprimono più nulla se non il già noto e il già detto. Amoroso vuole tornare al prima di quel che giornalmente conosciamo, alla verità pre-albale della nascita che avviene a ogni nuova poesia.
Prassi quotidiana
Ho messo un cantiere nel cervello
perché il resto non era in cantiere
Ho messo foglie da parte perché
la mia estate era vana.
Predicavo giorno e notte perché la mia
fragilità venissero in tanti a consumarla.
Altri che vincessero e perdessero
e fossero contenti.
Ma la mia morte fu un guaio per tutti
tranne che per me
Perché il mio viso trattiene le lacrime
Come la terra la pioggia o forse no
Ho un viso terreo che non ha nulla di terreno
Nemmeno se a forza assecondo
l’umano sciacquettìo di proverbi stinti
Macino moli di me
Macino un sacco di me
Nel fondo delle cose e del mondo inanime
Nemmeno esangue più sarebbe…
Troppo aver dato è come nulla
Di mano in mano il grano
polverizza la mente e i contadini
giacciono sotto gli alberi conosciuti
Siamo facili alle lusinghe e alle losanghe sillabiche
Siamo esseri
di pietra