Collana Encina – Poesia spagnola
Miguel de Unamuno, Il sangue dello spirito
ISBN: 978-88-99274-55-9
pp. 540
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Elegia in morte di un cane
La quiete afferrò con mano forte
il povero cane irrequieto,
e per sempre
fedele si distese sulla madre
terra misericordiosa.
I suoi occhi mansueti
non pianterà nei miei
triste di non avere parole;
non mi leccherà la mano
né poserà
sul mio ventre la testa sottile.
E adesso cosa sogni?
Dove fugge docile il tuo spirito?
Non c’è altro mondo
in cui rivivi, mio povero animale,
e nell’alto dei cieli
passeggi saltellando al mio fianco?
L’altro mondo!
altro… altro e non questo!
Un mondo senza il cane,
senza le morbide montagne,
senza i placidi fiumi
fiancheggiati dagli alberi sereni,
senza uccelli né fiori,
senza cani, senza cavalli,
senza buio che arano…
l’altro mondo!
mondo degli spiriti!
Però lì non avremo
attorno alla nostra anima
le anime delle cose di cui vive,
l’anima dei campi,
l’anima delle rocce,
l’anima di alberi e fiumi,
quelle degli animali?
Là, nell’altro mondo,
la tua anima, povero cane,
non potrà reclinare nel mio ventre
spirituale la sua testa spirituale?
La lingua della tua anima, povero amico,
non lambirà la mano della mia anima?
L’altro mondo…!
altro… non questo!
O, non tornerai più, mio povero cane,
ad affondare i tuoi occhi
negli occhi che furono il tuo ordine;
vedi, la terra ti strappa
da chi fu il tuo ideale, il tuo Dio, la tua gloria.
Ma lui, tuo triste padrone,
ti avrà nell’altra vita?
L’altro mondo…!
L’altro mondo è quello del puro spirito!
Dello spirito puro!
O terribile purezza,
inanità, vuoto!
Non tornerò a incontrarti, mite amico?
Sarai lì un ricordo,
ricordo puro?
E questo ricordo,
non correrà ai miei occhi?
Non salterà, brandendo per la gioia,
eretto il pene?
Non lambirà la mano del mio spirito?
Non mi guarderà negli occhi?
Quel ricordo,
non sarai tu, tu stesso,
padrone di te, vivendo vita eterna?
Che ne è stato dei tuoi sogni?
Cosa della pietà con cui seguivi
l’ordine della mia voce?
Io fui la tua religione, io fui la tua gloria;
in me sognasti Dio;
i miei occhi furono per te finestra
dell’altro mondo.
Se sapessi, mio cane,
quanto è triste il tuo dio perché sei morto.
Anche il tuo dio morirà un giorno!
Sei morto con gli occhi
piantati nei miei occhi,
forse cercandovi il mistero
che ti avvolgeva.
E le tue pupille tristi
avvezze a spiarmi i desideri,
parevano chiedere:
dove andiamo, mio padrone?
Dove andiamo?
Vivere con l’uomo, povero animale,
ti ha dato chissà un anelito oscuro
che il lupo non conosce;
forse quando mi posavi la testa
in grembo
vagamente sognavi di essere umano
dopo la morte!
Essere umano, povero animale!
Guarda, mio povero amico,
mio fedele credente;
vedendo morire i tuoi occhi che mi guardano,
vedendo cristallizzarsi il tuo sguardo,
che era stato fluido,
anch’io ti chiedo: dove andiamo?
Essere umano, povero cane!
Guarda, tuo fratello,
è quest’altro povero cane,
disteso accanto alla tomba del suo dio,
ululando ai cieli,
chiama la morte!
Tu sei morto in mansuetudine,
tu con dolcezza,
consegnandoti a me nella suprema
sottomissione della vita;
però lui, quello che geme
accanto alla tomba del suo dio, del suo padrone,
non sa morire.
Tu morendo presentivi vagamente
di vivere nella mia memoria,
non morire del tutto,
ma il tuo povero fratello
è già morto in vita,
si vede perduto
e ulula al cielo implorando la morte.
Riposa in pace, mio povero compagno,
riposa in pace; è più triste
della tua la sorte quella del tuo dio.
Gli dei piangono,
gli dei piangono quando muore il cane
che leccò loro le mani,
che li guardò negli occhi,
e così guardandoli chiedeva:
dove andiamo?