Stefano Olmastroni, I riflessi delle cose

Collana Chiara – Poesia italiana contemporanea
Stefano Olmastroni, I riflessi delle cose
Prefazione di Michele Nigro
ISBN: 979-12-81236-13-4
pp. 68, € 15

L’etimologia della parola riflesso, luce che viene rinviata da una superficie brillante o diffondente, dipana l’antico dubbio tra la poesia creata da una forza ispiratrice, quasi prepotente, che scava nel profondo, e la poesia che raccoglie con semplicità, preleva dalla superficie delle cose gli echi di vite vissute. Che differenza c’è tra riflesso e ricordo? I ricordi sono prove archiviate di un’esistenza appartenente alla storia di tutti, di molti o di un singolo individuo; i riflessi rappresentano i segni ricercati nel presente, o ritrovati per caso, di un “eterno ritorno”, di un qualcosa che non è passato, messo da parte, ma è, “persiste accanto” e a volte fa paura, anche se si prova “a non fissare / i riflessi delle cose”. Tutto sarebbe più facile “se i morti ti potessero parlare”, se ci fosse un contatto diretto con il mistero della vita. Quanto è difficile arrivare al cuore delle cose, diventare estranei a se stessi per mezzo della poesia, gestire i postumi dell’amore e lo stupore sempreverde per l’“allora siamo davvero esistiti, l’uno per l’altra” o per il “se tu sia veramente esistita”, domare i riverberi di una vita passata che non ci lascia, le tracce dei protagonisti sulle cose toccate, animate nel quotidiano viversi. Sprazzi all’apparenza inconsistenti, futili, diventano materia solida, buona per costruire strutture di versi.

Dalla prefazione di Michele Nigro

Improvvisamente tutto

iniziò a calzare i tuoi pensieri.
come se avessi intravisto la scena
precedente di un sogno
ed era quello il tuo ideale.
diventasti il tuo personale immaginario.
ma il passato tardava a passare

fuori nessun angolo rimase scompaginato dalla fuga

la luna splendeva in una foglia di gelso.
così una sera rincasai senza domande

***

Una parte dei sospiri

aveva un ritmo imprevedibile

non era facile
far pace con le idee
che avevamo ancora nella testa

nei mesi avevo visto l’Albero di Giuda
diventare se stesso. fiori vivere e morire

c’erano stati momenti in cui credere
alla ragione che ci aveva fatti incontrare

***

La spiaggia delle capanne

1

quando nel pomeriggio ci prendemmo la mano
lei disse “vorrei che il tempo si fermasse”
mentre mi guardava con quegli occhi
sempre tristi e sempre emozionati

ma il tempo non si sarebbe fermato in quel punto in cui
chi ci aveva preceduti
aveva lasciato libero il posto
e un mezzo scheletro di tronchi
per montare su un po’ di ombra con un telo e qualche sprazzo
di possibile intimità

2

poi verso la fine del giorno ci tenemmo stretti
l’aria divenne respiro. ci promettemmo
di vivere il presente. uno di noi
disse “sono felice anche soltanto per averti conosciuto”

e in quel momento in cui salutavamo il mare
non ci sarebbe neanche dispiaciuto rimanere
una notte intera bloccati in macchina
in un ingorgo sulla superstrada
a parlare e provare un po’ a capirsi

***

La spiaggia delle tartarughe

quel braccio paludoso di fiume navigato al contrari
è stato il culmine di quanto potevamo dirci

tutti ci avevano già detto la spiaggia era lunghissima
da percorrere a piedi. allora ci siamo concentrati su altro. camminato nudi nell’acqua

prima ancora di arrivare mi parlavi della schiusa delle tartarughe
più volte ho ripensato a quella foce come al luogo più bello mai visto

***

Il fiume

ogni uomo conosciuto
era stato un nuovo fiume

ti sei trovata all’inizio dell’estate
a fare strada. a tramandare
i segreti dei sentieri
lasciati aperti che conducono all’origine
di quel rumore, a un’acqua
a volte verde
a volte nuvolosa

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