Collana Chiara – Poesia italiana contemporanea
Chiara De Luca, Versi animali
Prefazione di Stefano Serri
pp. 170, € 15
ISBN: 979-12-81236-26-4
Rimettere l’uomo al suo posto: ecco i Versi animali di Chiara De Luca. Questo riposizionamento non avviene attraverso espliciti proclami animalisti o manifesti sul futuro che ci aspetta, ma attraverso la più gentile delle rivoluzioni, la poesia: cercare, cioè, indizi del mondo nel mondo, farsi suggerire dalle palpebre quello che le pupille non capiscono, restare attenti davanti a ogni fenomeno del mondo (davanti e dentro e anche attenti lontano). Anche lontano, perché l’attenzione del poeta s’accuccia accanto anche a chi non c’è più.
Questo ridimensionamento dell’uomo Chiara De Luca lo persegue in due modi.
Il primo fa appello alla storia, episodi, cronaca, soprattutto difetti d’umano o delitti civili; dalla condanna di un poeta per reati d’opinione alla strage dell’Airbus A320-200, dalla cattura di un terrorista al suicidio-omicidio per opporsi a uno sfratto: in ognuno di questi arazzi (perché la trama è ampia, l’ordito dettagliato) sbuca sempre un piccolo animale o un’alternativa all’umano. Di solito (gli animali fanno spesso così) rimangono in un angolo, sotto il tavolo, come in tanti dipinti cagnolini o scimmiette sbucano tra nozze di Cana e ultime cene. Vittime o inermi, gli animali, ma anche segnali, e annunciano che un qualcosa di diverso, qualcosa d’innocente, qualcosa di bello-non-umano sarebbe (o è ancora) possibile.
Questa ricerca di impronte si allarga, dalla Storia, alla città, ai vicoli e ai quartieri di Ferrara che Chiara abita&percorre (le due cose sempre insieme), trovando anche nella storia minima fatta di incontri, passaggi, ciotole d’acqua e ciuffi di pelo, trovando la sottile e sotterranea (riaffiorante qua e là) testimonianza di una civiltà animale. Ed è questo, il secondo modo per ricalibrare l’attenzione sull’umano: cantare l’animale, tra anatomia e Incontri, descriverlo, raccontare la favola bella del vivere senza storpiarla in un’epica, senza riportare ogni atto e ogni gesto animale al modello umano (vedi le mostre o gare canine, o certi modi di addestramento). Animali con nome proprio, perché non serve ad esistere il nome, ma a entrare in relazione: non personaggi d’invenzione, ma compagni di giornate. E anche insospettabili maestri, su come si possano rivedere bisogni, distanze, incontri, mutando l’altezza degli occhi e la lunghezza di zampe.
Dalla prefazione di Stefano Serri
D’acqua
I
Scostare il velo greve
dell’inverno, attraversare
il parco deserto, trovarsi
al fosso che sottile separa
la città dietro la schiena
dalla campagna che resta
aperta di fronte, basta
un istante – con la nebbia
non c’è orizzonte né strada
percorsa – e siamo nell’oltre,
mi volto, i cani hanno già
fatto il salto, e sono adesso
in corsa sul campo di fronte.
Mi fermo e provo a sentire
dolore di tanto abbandono
che non ha salvato nessuno
né quella che ero; ad avere
anche una goccia soltanto
d’acqua salata nell’occhio
a fare di sguardo ricordo.
Ma qui è d’acqua dovunque
nella brina bianca dell’alba
nel sangue verde del lago
nella condensa del fiato
nel prato zuppo di cielo
nella linfa che dentro scorre
in segreto, ha così pianto
ogni colpo e tradimento
che nell’aperto non sento
nostalgia dello sguardo dell’altro.
Dietro sfuma il pantano
umano, teatrino del vano
ogni parola che asseta
carta bruciata d’attesa.
Nel bianco nient’altro
pulsa che il fiato caldo
dei cani accanto. Il silenzio
ha il fiato dentro, deserta
bellezza e ardente di sole
che anche stavolta risorge
dalla morte che era parsa
la notte senza speranza.
Tutto è solo evidenza
presente, in trasparenza
amore sul fondo del lago
cieco, il gelo in distanza,
un abbaglio del tempo
che non è stato ogni assenza.
II
È odore delle mattine d’inverno,
di brina e fango nel parco deserto,
di condensa di fiato nel bianco,
di nube e nebbia, odore di cane
fradicio e felice, di foglie marcite,
di prato inondato, di sangue verde
nei cerchi di un tronco abbattuto,
di pianto nel ramo caduto, odore
di ristoro dopo il sudore, di caldo
che scioglie le ciglia gelate tornando
all’interno d’inverno, velo bianco
che nel vetro intorbida lo sguardo.
Odore di piscio e medicinale
se il gatto sta male, di pianto
sul tempo passato guardando
senza pensare la piccola goccia
che cade dalla boccia nel tubo
e vi discende, odore di liquido
umore, lacrime e trasudazione,
frescura, sollievo, gola che freme.
Odore di fresca carezza se scoppia
la testa nel tardo mattino di festa.
Odore forte di mare in tempesta,
di fiume, di sale, di tuffi da fare
di brina, palude, erba e rugiada,
odore di bava, saliva e fontana,
di neve in lunghe strade scoscese.
Odore di oggi e di sempre, odore
d’ogni cosa nascente, di trasparenze
iniziali, di niente. Odore d’ovunque.
Odore dell’acqua nascente.
Buongiorno.
Vorrei acquistare questo libro, ma non so come fare.
Basta scrivere un’e-mail?
Ringrazio per l’attenzione e invio Loro i miei saluti
Rita Vecchi
Buongiorno Rita, sì, basta scrivere una e-mail a ordini@edizionikolibris.net. Ti aspettiamo!