Silvia Belcastro, Nella città di formiche di luce

Silvia Belcastro, Nella città di formiche di luce
ISBN: 978-88-99274-42-9
pp. 70, € 12

Leggerete il libro da soli, senza troppi aiuti: Silvia Belcastro non è un nome conosciuto, quindi non appartiene ad alcuna scuola poetica. Non potrete dire che discende da un maestro italiano o da un altro: la discendenza poetica è una discesa, cioè un atto di servilismo. In realtà Belcastro non ha alle spalle molti idoli italiani. Allora leggerete questo libro da soli: nel senso che non ci saranno punti di riferimento. Beato chi legge un esordiente nudo e crudo: nessuno lo disturba; e beato l’esordiente nudo e crudo: la sua casa editrice è costretta a lavorarci, perché bisogna inventare uno spazio.
Dopo la lettura: ecco, noterete che ci sono certe parole-chiave. Il riformatorio. Messaggio e messaggero. Il colore bianco. Il colore rosso. La carta e il libro, astratti e sacri, come nel Libro di Giovanni Pascoli. Gli animali, il leone, le carpe, i piccioni, la gazza. I luoghi astratti e maiuscoli, come la Reggia. La città, che è Ferrara. E poi molti aggettivi: si vede che la parola non basta e che deve essere qualificata, rossa, bianca, alta, bassa, bella, brutta. Chi osa, oggi, essere simbolista, e magari amare il suo buon Pascoli? Nessuno. Qualcuno, pochi. Prima Pasolini, poi Patrizia Valduga con il suo “Pascoli amato”, dichiarato. E poi? Almeno Silvia Belcastro. Nessun altro giovane, probabilmente. Io? Sì, ma non sono più giovane.
In pratica, Belcastro fa a modo suo, giustamente. Di quale appartenenza e di quale strategia si può parlare ai reduci del riformatorio? Ai reduci, dopo la guerra e il Lager – il Lager che è un caso singolare, e ognuno ha il suo – tutto sembra comodo e semplice. Ci si rifugia in simboli e sogni alternativi all’Ordine. Anche perché l’Ordine è chi ti ha gettato nel caos.

Dalla Prefazione di Massimo Sannelli

In tempi di facile delirio distopico sarà utile chiarire che la città di formiche di luce esiste davvero, anche se, trovandoci in poesia, è ovviamente una visione. Quale sarà la città in cui le formiche rosse si spandono nel buio diluito dalla nebbia delle sere d’inverno, formando aloni arancioni che rimbalzano sul rosso dei mattoni? Quale sarà la città in cui formiche bianche smorzano in branco la luce lattiginosa delle albe d’estate, oppure esplodono in traiettorie di stelle filanti a ogni primavera che riviene? Chi l’abbia visitata almeno una volta la riconoscerà subito, non può essere che Ferrara. Ma non conta e non serve tenerlo a mente, perché la città delle formiche di luce è ovunque nell’altrove. È la città surreale delle nostre eterne infanzie, il territorio franco delle fiabe. Ma attenzione: le fiabe non sono sempre a lieto fine e sono popolate da tutti i nostri mostri e antagonisti. Nulla è quel che appare, né il male né talvolta il bene.

Dalla Prefazione di Chiara De Luca

Nella foresta

Nella foresta, mentre vi affannate
per uno straccio sudicio di gloria,
il sole tramonta nella più sacra cattedrale.
Dio se ne sta a dormire
sotto una foglia bagnata di pioggia,
e non sa nulla di voi.

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