Chiara De Luca, Il mondo è nato

Chiara De Luca, Il mondo è nato
Poesie in prosa e non
ISBN: 978-88-99274-75-7
pp. 128, € 15

Nuvole stentano a partorire il giorno implose in tutto il possibile del mondo. Una luna censurata scagiona gli agnelli da ogni tortura subita. Nella rugiada Dio è di neve che incendia in frangenti la linfa contro la scogliera del cuore a picco sull’immane. Ho poco addosso contro le doglie del vento. Mi sfiora di freddo, mulinando sangue che lo fa evaporare dall’interno. Serve la grazia di millenni di deserto perché lo sguardo si faccia rotondo attorno al raggio e divori tutta la visione, fino al più estremo recesso laterale di un abbandono animale. Ho pietre di muscoli affilati da risalite senza misura. E corpo solo quando la mente è troppo a fuoco per sapersi. Tutto è parte di un eccesso che ha il mio nome. Non è più donna la condanna mentre senza paura reimparo la creatura. Cielo mi assedia come le pareti concave di un acquario, e il campo all’orizzonte è dall’oblò dello sguardo un troppo d’universo. Somiglia forse a questo una carezza? Oceano asciutto in tempesta di onde piccole, al soffio che germina la pelle come erba nell’universale. L’aria incombe in un’effusione senza scampo. Sono così di vento che esisto in un frattempo. Tutto è di ghiaia bianca che si srotola davanti e passa tra le sentinelle verdi del prato sull’attenti. Io intera e ingiunta senza tempo alla pioggia imminente. Nella tregua sperpero il fiato teso nel costato per il prossimo massacro. Non so più della morte, come a poter vivere l’ora per sempre nell’apnea di gioia celeste. Esonda il tempo d’acqua e sconcerto da questa facilità di essere: di vento.

L’odore delle mele

Non so come voi l’alfabeto degli odori,
ne seguo a tentoni la grafia millenaria
sul foglio dell’alba dove dalla memoria
ricamano in aria trasparenze anteriori.

Chiudo gli occhi piano si disegna il pane
che hanno terminato da poco di sfornare,

ha un ricordo di farina e stretta ancestrale
tra l’uomo e il grano in un tempo animale.

Al mercato è intero l’odore rosso delle mele,
ha un sentore di raccolta, di sole, di sudore,
ben prima che il traffico lo possa dissipare
e ogni via del centro cessi di ricominciare.

Gli odori a mezzogiorno sono un arabesco
vertigine che sfianca, inganno della fame,
chiudo gli occhi, vedo quelli di mia madre,

le fini mani piene di pizza da infornare,
una neve di ricotta sul prato di sformato,
un cuore di riso, il petto rosso spalancato
di pomodori rustici dall’orto di Mignano.

È più intenso l’odore rosso delle mele
fatte con cura a spicchi da una madre
bucce si radunano rapide in un canto,
la polpa sul piatto nella casa infanzia.

A sera il disegno degli odori va sfumando,
si attenua con la luce il sentore più vorace,
chiudo gli occhi, fiuto il sangue delle foglie
che perde nel vento il senso acre del verde.

Gli sguardi delle case si volgono all’interno
dove custodiscono il principio dell’inverno.

La sera è più pesante l’odore delle assenze
o solo più distante quello rosso delle mele.

La notte ha un’attesa di pane da infornare.

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