Ettore Pastena, Risse
ISBN 978-88-96263-71-6
pp. 92, € 12
Se la salvezza è generare un nuovo incamminamento e ogni violazione tende a una una restitutio, per citare un’altra poesia di Pastena, in termini di rinascita del senso, della lingua, dell’immagine, il gioco vale certamente la candela, e si può agire l’oltraggio, scandalizzare la morale, colpire ogni politicamente corretto, turbare la visione scontata, il mondo già masticato, la rilassata statuizione del dato e infine offendere i nostri più affermati tabù. “Gonfio il membro / quanto il verbo / che avremmo tanto voluto come figlio…”
Certo, una forma poetica così muscolare e appassionata non regge l’attivazione per semplice istinto, per separate pulsioni intermittenti; non può bastare la forza energetica del bisogno a sostenere la sua espressione, la quale esige invece un movente costantemente verticale, mai adagiato sulla coincidenza orizzontale della vita e sempre estroflesso sull’altro: il desiderio. Se l’inconscio ha struttura di linguaggio anche il desiderio, che in esso abita, è un fatto linguistico particolarmente associabile ad alcune figure retoriche, la metafora forse, e soprattutto la metonimia, dinamica anche psichica che rende tangenti e scambievoli entità contigue, ma differenti: “Metonimia primaria / riconoscersi nel dubbio / invece che nel mondo”.
dalla prefazione di Umberto Fornasari
A te che vivesti nelle domeniche
e nelle piazze con le fontane,
più non dico il dire.
Ti lascio il silenzio e questo volto,
le sole grafie che so giuste.
Ti lascio gli occhi muti dei bovini,
il moto a pendolo
del collo dei piccioni,
i marmi bianchi dove leggemmo i suoni,
da qui, da questa terra,
templi di nessuno
imbanditi nel regno del ninnolo
che si fa segno,
simbolo,
idea,
nello stravolto delle nostre pupille,
che videro luce
e il tenue bonario maleficio,
su cui riposa morto nostro Signore,
nelle balere del cosmo,
nell’autoerotismo delle eternità che si vegliano.
Ti lascio i calli dei frati e gli angeli idioti,
ti lascio il nulla
a un passo da questa pagina….