Daniele Gorret, Venti
ISBN 978-88-96263-82-2
pp. 116, € 12
In questi venti Venti la scrittura stessa entra prepotentemente sul palcoscenico della vita, inscenando se stessa, protagonista assoluta di cui il poeta è suggeritore dietro le quinte, interprete e spettatore del proprio stesso scrivere, senza dimenticarne le radici e l’evoluzione storica.
Venti è un’opera trascinante, dal respiro ampio, avvolgente, dal movimento inglobante. Ed è opera disturbante, perché ci strappa via la terra da sotto i piedi, facendoci aleggiare sopra il mondo, pochissimo al di sopra, per vederlo e per vederci rimpiccioliti, messi a nudo, smascherati. Venti è opera di grande solidità e coerenza – che riflette la coerenza interiore e il rigore morale dell’autore – e con coerenza porta avanti la peculiare visione, nettamente manichea, che Gorret ha dell’esistenza, e che muove dall’equazione tra Umano e Male (doppiezza, orrore) e Nonumano e Bene (ingenuità, candore), ovvero dalla contrapposizione tra carnefici e vittime sacrificali sull’altare dell’egoismo e della vanità.
Venti è soprattutto una decisa e inequivocabile dichiarazione di poetica, in cui le funzioni attribuite da Gorret a Poesia prendono corpo e respiro di Verso e di Vento, si avvicendano, s’inseguono e si scontrano in un moto circolare vorticante dalla prima all’ultima pagina. Nessuno di questi Venti offre salvezza o duraturo, robusto rifugio dal predominio del Male nel mondo umano disumanizzato in cui viviamo, ma ciascuno di essi porta con sé una possibilità di sopravvivenza morale e di resistenza interiore. Seppure Poesia non s’illuda di cambiare il reale né prospetti alcuna soluzione escapistica risolutiva, essa contribuisce a illuminare sulla mappa dell’anima possibili piccole oasi sperse sopra la sua terra martoriata, indicando nella notte del dolore piccole riserve in cui il Nonumano può scivolare non visto, dove gli è concesso di fermare un istante il tempo nel tempo e di ritrovare se stesso.
dalla prefazione di Chiara De Luca
Nel chiuso sottotetto quasi al buio
i libri sull’attenti da soldati
stanno in due file lunghe ed ordinate;
stanno, e paiono nel sonno più quieto
come incapaci di sveglia o ribellione,
come sognando un sogno immacolato…
Paiono, ma in verità tutto è il contrario.
Formicolano tra le pagine inquiete
i tarli che ne segnano l’età.
Soprattutto, si muovono parole
a gruppi di migliaia, di miliardi:
nel regno di Quiete, è movimento.
Fuori (quel fuori intravisto in abbaino)
si sente che c’è Vento di passaggio:
passa difatti un Vento indefinito
che coi miliardi di parole ha relazione.
È un Vento per gli inchiostri e le scritture.
Ogni cosa infatti che sia scritta
(ma molto prima d’essere stampata)
vive già in Lui (in dynamis è nel Vento),
e poi ci vive nei libri per millenni.