Giancarlo Pera, del poi che indugia, l’occaso

Giancarlo Pera, del poi che indugia, l’occaso
Prefazione di Chiara De Luca

ISBN: 979-12-81236-03-5
pp. 126, € 15

Spesso sento chiedere nelle interviste “cos’è la poesia”, “a cosa serve la poesia”. Eppure nessuno si chiede mai che cosa sia il respiro, a che cosa serva il respiro. È  scontato: a vivere. Non a sopravvivere. A vivere. È  nella dimensione dell’essenziale. Come mai allora sono così poche le persone che amano la poesia, anche tra i poeti. C’è così poca cura per lei, così poca tenerezza. La si soffoca continuamente con il superfluo e con l’inessenziale. Quando basterebbe darle tutto: anima, corpo, voce, sguardo. Per avere da lei l’universo. Il poeta ha soltanto bisogno di sguardo. Basta che una sola persona lo veda per metterlo al mondo, per dare a ogni verso il suo senso e al testo la sua direzione. La poesia è un filo fragilissimo cui ci si aggrappa per non sprofondare nelle sabbie mobili del nonsenso, per non soccombere alla spietatezza che tocca al diverso, per non sbriciolarsi sotto i colpi di un mondo avverso al bello, all’armonia dell’incontro, alla ricerca di un senso nella pace dell’ascolto. È questo che fa Giancarlo Pera. Anche nel dolore più atroce, anche nell’abbandono, anche nella solitudine e nel vuoto che può cogliere all’improvviso, non perde fiducia nella capacità della parola di dare forma all’emozione, al sentimento, alla sensazione, ma anche alla confusione, all’assenza di risposte, alla perdita della speranza che però sempre si riaccende in una scintilla, fosse pure una parola soltanto che sopravvive al silenzio.

Dalla Prefazione di Chiara De Luca

non aver saputo fare aeroplanini
di carta, né barchette dai giornali
e m’aggredisce sempre, nostalgia
di viaggi mai stati e di rotte perse

fuori dalla terra che mi soffocherà
fatemi essere l’aquilone fuggiasco

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