Louise Duppré, La pelle familiare

Collana Smergo – Poesia del Québec
Louise Dupré, La pelle familiare
Traduzione e introduzione di Chiara De Luca
pp. 216, € 15
ISBN: 979-12-81236-09-7

Nelle prose poetiche o poesie in prosa di La pelle familiare, Louise Dupré ci conduce per mano tra le luci e le ombre del suo mondo. La poetessa ci apre le porte della sua casa, ce ne mostra il nucleo, l’intimità, la pelle familiare, sottile, delicata, trasparente, sotto cui scorrono le vene pulsanti di ogni relazione. È come se ci invitasse a sederci in cucina, ad osservarla mentre prepara da mangiare per la figlia, mentre il mondo esterno fa irruzione attraverso le notizie che provengono dalla televisione e la pelle familiare si lacera accogliendo gli sfregi dell’alterità. La casa della poetessa è infatti un nido, caldo e confortevole ma aperto al mondo e alle sue intrusioni.

La casa può divenire anche nemica, quando riaffiorano ricordi che si credeva di avere seppellito e si materializzano vecchi fantasmi, i cui passi inconsistenti hanno la forza di un’esplosione. La casa da rifugio può divenire prigione, da cui non è possibile alcuna via di fuga perché sarebbe come tentare di fuggire da se stessi e spogliarsi della propria stessa pelle. Ma è sempre l’amore che tutto tiene, è l’attesa delle persone care, il dialogo sulle cose d’ogni giorno, la disposizione consueta degli oggetti nella casa. Ogni minaccia esterna è messa a tacere, ogni ombra dissolta dalla luce domestica che tutto avvolge e protegge.

La familiarità è anche ideale, come quando la poetessa immagina “milioni di donne che prendono la penna all’ora del telegiornale si scrivono, si dice, lettere audaci”. È un legame tra le donne, che proteggono l’intimità della casa e alzano le proprie voci al di sopra di quella del telegiornale, in una comunione d’intenti implicita nell’atto stesso d’impugnare la penna e dire “io ci sono”.

Al riparo nella sua cucina, con l’amata figlia accanto, la poetessa conosce il proprio privilegio e sa che altrove altre donne nascondono i loro figli in sottovesti sporche e “gridano la loro disperazione sotto i fuochi le carneficine”.

A mano a mano che procediamo tra le pagine, la poetessa ci apre lo scrigno dei suoi ricordi.  È un percorso a ritroso nel passato, fino alla giovinezza, con la potenza dell’amicizia e l’energia incomparabile dell’amore nascente, con lo stupore sempre vivo delle prime esperienze e il tentativo, anche allora, di preservare la pelle familiare dall’intrusione delle masse, dal pericolo generato dalla noia e dal conformismo. Il leitmotiv che percorre ogni pagina di questo libro è l’amore, in tutte le sue declinazioni. È l’amore a proteggere la pelle familiare dalle ferite che le vengono inferte nelle strade buie, ma anche da lontano al propagarsi del male. È l’amore a custodire i volti e i corpi, le parole e i silenzi anche nel ricordo, perché non si perda il bene che è stato, e possa scaldare anche nel presente. È la comunione dei gesti nella consuetudine a celebrare ed eternare il quotidiano, perché ogni istante si colmi di senso rivelando il disegno del tempo. Perché solo il tempo può dire cosa salvare e cosa lasciar affondare nei recessi della memoria perché nel buio vi muoia.

Chiara De Luca

ma ancora il reale e qualche Beirut che sputa sangue. bisogna vedervi una tentazione d’epoca, una semplice tentazione o un vecchio sogno, messa in scena dell’apocalisse? la morte contropelle, Sabra Chatila per la genealogia: la linea di perdita, la storia

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18, il telegiornale, preparo la tavola per mia figlia. altrove, donne, sottovesti sporche che nascondono i loro figli. che gridano la loro disperazione sotto i fuochi le carneficine.

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testo di carne d’accanimento: l’al di sotto tranquillo delle mattine vuote, la ritrasmissione del fatto diverso all’alba, queste donne assassinate, altra versione di qualche guerra, ecco che viene come un sussulto di rabbia, queste donne torturate questo riempie la pagina la pelle scorre squarciata nell’orrore del mattino bianco

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immagino una parola di rabbia terribile nei suoi straripamenti dove l’io si perde nel martirio corpo perduto senza fine sessualizzato, il tempo non è più alle timide allusioni.

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sareste allora di tutte le mie audacie. le notti folli la passione fino al midollo la carne insolita in mezzo al disastro L’ATOMO e il mio posto il nostro posto nel minuto storico pericolosamente compromesso la mano la nostra mano per frugare nelle nostre pieghe e quest’uomo che amo in una dolce vigilanza

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tenermi ai limiti e il rischio che corro nella difficile articolazione dal corpo alla teoria.

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