Antonino Caponnetto, Miti per l’uomo solo
ISBN 978-88-96263-05-1
pp. 102, € 12
Che cos’è la poesia, se non la ricerca di dare un senso al tempo? Questa sicuramente potrebbe essere una risposta. Il tempo che viviamo, e che ci appartiene, nella società attuale scarseggia sempre di più. Siamo presi dal lavoro, dalla fatica di giostrare il tempo libero con i rapporti interpersonali, dalla fretta. Caponnetto, nella sua raccolta Miti per l’uomo solo, dimostra di avere una forte consapevolezza di tutto questo. Fin dalle prime due poesie, e, ancora sempre nella sezione “LUOGHI NON-ALFA”, nella breve ma efficace “Lungo i giorni deserti e le strade”, o in “Pour la douleur du pauvre”, “Sosta d’inverno”, questa sensazione sembra portante e presente. (Ma anche nella seconda parte, “INTORNI NON-OMEGA” poi in “Sei”, “Fragmentum I”). In questo percorso tenta di ricongiungere gli antipodi (alfa e omega), organizzandosi per iscrivere con decisione la volontà di mettere insieme i tasselli di un puzzle, i momenti che nel bene e nel male compongono il suo tratto di esistenza. Tra aperture d’amore, citazioni letterarie e uso di più lingue e dialetti, la scommessa è quella di comprendere e accettare il mistero del nostro (poco) tempo. Un tempo che pesa, (per alcuni già terminato, per altri no) caratterizzato da una tensione verso la verità, unica possibilità di vitale rivalutazione dell’esistenza. Questa per Caponnetto è l’occasione per ritrovare se stesso e il passato, il passaporto per attraversare i miti e rendere più tollerabile la solitudine. Una ricerca che l’autore conduce con l’impiego di parole anche del cuore, che quasi bastano a se stesse e non indulgono in compiacimenti lessicali, dando luogo, sulla pagina, a una fertile libertà creativa. Libertà creativa che si esplica anche in passaggi dotti, riferimenti non comuni, mix di dialetto e lingue straniere, dialoghi e annotazioni di ambiente: una specie di trance dove il poeta attinge anche a lessici desueti cercando di presentizzare la lingua che ci circonda e ci precede.
Gregorio Scalise
… Ma resistere, vivere
un altro giorno ancora
e poi morire forse,
in altro tempo, altrove, ci sembrava
fraternamente giusto,
sacro, umano.
Sognavamo una terra liberata.
E, nell’immenso gorgo dei destini,
una cittadinanza universale.