François Jacqmin, Le stagioni

Collana Orly – Poesia belga contemporanea
François Jacqmin, Le stagioni
Prefazione di Guy Vaes

Traduzione di Chiara De Luca
ISBN: 979-12-81236-07-3
pp. 398, € 15

Sarei rimasto scioccato, otto anni fa, quando ho scoperto Le stagioni di François Jacqmin – allora a me sconosciuto – se non fossi stato immediatamente deliziato, come una risposta a lungo rimandata, dall’emergere di un Oggi. Questa parola, che una maiuscola riempie di assoluto, l’identifico volentieri come una “prima volta”, che è sempre viva e annulla l’idea di successione, anche se il titolo della raccolta vi allude in virtù del giogo del concetto a cui ogni comunicazione è soggetta.

Non è indifferente sapere che l’autore attribuisce “l’invenzione del tempo alla nascita del pensiero”.

Nella filigrana di queste poesie in prosa – istantanee a forma di stella, sonde abbaglianti o allusive – che mi sdipanava una raccolta di poesie che avevo avidamente sfogliato nella libreria di un amico libraio, mi è sembrato di scorgere le parole di Braque: “Il perpetuo contro l’eterno”, nonché la riflessione di René Char a Heidegger: “La poesia è senza memoria”.

Senza memoria, la poesia di François Jacqmin deve esserlo perché vi perseveri – davanti al papavero o alle “miriadi di segni oggettivi” che il fieno dispensa – uno sguardo d’alba. Senza memoria, naturalmente, e del tutto estranea allo straripamento lirico o al brivido impressionista, o ancora all’epifania dell’haiku (appiattita, è vero, da quasi tutti i traduttori); per questo stesso fatto, disponibile alla sola percezione. A questo sarà opportuno, più avanti, accordare il peso di ciò che fonda, in un’apprensione originaria, la poesia come consustanziale al significato.

Nelle Stagioni, apparse per Phantomas nel 1979, l’oggetto cessa quasi d’essere lo specchio del soggetto. Le imprese della natura e ciò che suggeriscono ai sensi attenti – il profilo di una conoscenza! – non sono un riflesso della soggettività di Jacqmin. Se la sensibilità del poeta è ovunque, se la sua meraviglia rimane l’agente originario, è perché si esprimano le modalità della differenza, del non umano, mai un antropomorfismo che si appropria dei mille e uno volti della Creazione, preludendo così a un umanesimo spaventato.

 Dalla prefazione di Guy Vaes

da Primavera

È una zona di sorridente
morbidezza, un fenomeno senza
corpo né pensiero che si
dice essere la primavera.

Un tale insieme di imprecisioni
è in grado di formare una
rosa e una domanda.

da Estate

La luce entra nella foresta
come una rivelazione.

Essa percorre sentieri che
il fogliame ignora.

Tutto diventa visibile e
inspiegabile.

La mente è confusa all’idea
di una fatalità che illumina.

da Autunno

La luce ha trovato altre
armi.

Dopo la lucidità violenta
dei luoghi comuni, ecco l’effusione
tranquilla di un sole
forte del suo pallore.

Con stupore di tutti, le discussioni
interminabili dell’estate non hanno suscitato
nessuna verità.

Solo i frutti sono emersi.

da Inverno

Il paese giace in una quiete
chiusa.

L’approccio della sera sostiene un
desiderio di vivere sobriamente
nel passato.

Ci si mette a sognare i dolori
impossibili cui si è
sopravvissuti senza motivo.

Ci si nutre del nulla di cui il
il resto è fatto.

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