Collana Corola – Letteratura caraibica
Ernest Pépin, Il paese nudo
Traduzione di Stefano Serri
ISBN: 978-88-96263-85-3
pp. 148, € 12
Se questa è una raccolta frammentaria, che raccoglie alcuni dei migliori “semi di bellezza” dell’originale Babil du songer, è perché il frammento è l’identità stessa dei Caraibi. “Rompi un vaso, e l’amore che riunisce i frammenti, è più forte dell’amore che ne dava la simmetria per scontata quando era ancora intero”, scrive Walcott. Nella forza della nuova unione di questo “naufragio di frammenti”, e nella fedeltà “alle derive di tutti i continenti” che apre Il paese nudo, sta la ricchezza dei Caraibi, e una lettura delle culture e delle letterature delle isole non può prescindere dalla comprensione di questa frammentazione.
Una frammentazione etnica, culturale, linguistica, politica, geografica: queste isole, come “pezzi strappati al continente originale” sono un vero e proprio callaloo di genti e culture, un grande composto eterogeneo del quale è ancora possibile riconoscere ogni ingrediente. “Un arcipelago”, scrive Glissant, “è fatto di terre, ma terre frammentate, fragili e un po’ ambigue, ma che sono legate tra loro da un bisogno d’unità, bisogno che passa attraverso una diversità reale, e questa diversità reale impedisce che esplodano ancora volontà di potenza e dominio”. Popoli dalle identità frammentate e composite non possono trovare una vera unità che nel riconoscimento delle diverse parti che compongono il tutto. Un background etnico, culturale e linguistico complesso, che non può essere negato, né trasformato in un campo di lotta per la predominanza di una parte piuttosto che dell’altra, ma che costituisce in realtà il vero e proprio tesoro dei Caraibi, dove “l’intera popolazione odierna è stata vittima di uno spostamento e di un ‘esilio’”.
Dalla Prefazione di Giuseppe Sofo
Di’ loro che vieni da un paese
nato in una stretta di mano
un paese semplice come buongiorno
dove le notti cantano
per scacciare la paura dei domani
di’ loro
che siamo un boccone
fatto di sette isole
come i sette colori della settimana
ma che non viene mai
la domenica di noi stessi