Collana Orly – Poesia belga contemporanea
François Jacqmin, Il libro della neve
Prefazione di Stefano Serri
Traduzione di Chiara De Luca
pp. 240, € 15
ISBN: 979-12-81236-10-3
Puri, sono ardui da intendere, i poeti. Dobbiamo spesso immaginarceli accompagnati, come il ghiaccio accompagna i liquori, e accostare loro un’etichetta ulteriore, d’artista o scienziato: in questo la poesia vive d’immagini, è un pittore; quello è ingegnere; in uno troviamo frequenti rimandi al cinema o al rock; quello è un centometrista, solo brevi respiri; quello è un eremita, ogni poesia isola e ricomincia una vita. E così, dobbiamo miscelare droghe e spezie alla poesia pura.
Lievemente, senza scarti improvvisi, François Jacqmin incrina la solidità di simili attribuzioni. Il libro della neve, che tara il suo respiro su metri armoniosamente irregolari, scandito con rigore in strofe di dieci versi, è opera compatta e mai univoca: la filosofia si appropria dell’immagine, l’istantanea slitta verso l’aforisma, etica e musica si confrontano, la descrizione argomenta, il commento racconta. Per contemplare si usano tutti i sensi e i sentimenti; per essere nel mondo, si usano tutte le vite. Tentata unità, come al modo dei pensatori antichi, prima che le muse e Sophia fossero trascinate in direzioni opposte.
Quello che era il fuoco per Empedocle, una visione del mondo, qui è la neve. È quasi un Tractatus, questo testo di Jacqmin, ma anche album, un diario di lucida sopravvivenza, un mosaico palpitante. E ogni tessera, quel frammento che è cifra dei filosofi antichi, qui è perfettamente inserito e collocato, contro ogni evanescente glorificazione dell’Opera Aperta, facendoci entrare (porta stretta) in un hortus conclusus di soda bellezza.
La lettura di questo libro chiede, esige pause e intervalli, ma anche continuità. Attenzione, quindi, ad accostarsi a una nuova pagina dopo essersene allontanati: se interrompete, non riprendete dal punto esatto in cui lo avete lasciato, ma qualche pagina prima, perché preludio alla poesia è la poesia.
Stefano Serri
Il nostro degrado non è un’opera, né
un oracolo.
Il nostro io
non è un borgo vicino
alle Pleiadi.
Non presentiamo a nessuno il tributo del nostro
disastro. E non dedichiamo nessuna delle nostre poesie. All’anima,
basta contemplare il nero che dimostra
che non c’è nero.
*
Le persone ben educate restano a casa.
Il viaggio
rivela ciò che l’anima ha di miserabile.
Andare altrove significa
scucire
il confine dell’innocenza che l’innocenza tesse
intorno al nostro luogo.
È il motivo per cui ci tengo a restare
tra i miei mobili:
sono i miei assoluti consueti e strazianti.
*
Inseguita dalla notte, la neve aprì la porta
e avanzò fino al cuore della casa.
Penetrava
come quelle convinzioni dolci che si hanno
quando si sogna.
Poi si sedette al centro del focolare.
Sistemata nel grembo delle fiamme,
contemplava
i miei sogni. Era stanca del suo candore
e aspettava la mia ombra compassionevole.
*
In poesia
come in ogni altro campo, quelli che sono
senza onore
riescono nella loro impresa.
Non potendo accedere al sublime, i furbi
si rifugiano nell’illeggibile. La loro
complicazione linguistica prende in prestito dal mondo dei furfanti.
Metafora e scorrettezza condividono la stessa
radice.