Cristina Sparagana, Fiori di vetro

Collana Chiara – Poesia italiana contemporanea
Cristina Sparagana, Fiori di vetro
Prefazione di Tiziana Marini
ISBN: 979-12-81236-14-1

pp. 72, € 15

A Giaume e Cristina

Fiori di vetro di Cristina Sparagana è un memoir in poesia, dedicato all’amato compagno di vita Giaume Vidal, nel suo ricordo. È un memoir non solo perché trae ispirazione dal passato e dalla memoria del cuore, ma poiché in esso, nella sua dimensione lirica, la memoria diventa vera e propria narrazione che epicamente si dipana, restituendoci ogni personaggio in una chiave, mitologica e terrena a un tempo, nell’ambìta fusione di particolare e universale, sapienza e dono di pochi poeti. Fiori di vetro perché? Intanto perché i fiori nelle varie specie raccontate, siano essi gigli, papaveri, viole o “crisantemi di neve’’, o ancora “ossigeno in fiore’’, sono simboli, presenze vive che incarnano ricordi ed eventi significativi e, in secondo luogo, perché il vetro è sostanza che esprime la delicatezza e la fragilità dell’esperienza umana, esperienza che qui si fa trama densa e dettagliata per restituirci con amore la figura e la vita, vissuta tra Cile e Italia, di un compagno amorevole, padre e uomo meraviglioso, profondamente colto e magicamente consapevole, come raccontano le parole da lui stesso pronunciate e riportate nel testo: “Quando questi due rami di eucalipto si toccheranno, io morirò’’, aveva detto un giorno. Non di meno questi “fiori di vetro’’, forgiati dal soffio creante dell’amore, proprio attraverso il ricordo, acquistano forza, riempiono il vuoto lasciato, forse leniscono il dolore e la perdita e diventano infrangibili ed eterni. Cristina Sparagana artifex di questa palingenesi dona al suo Giaume e ci dona un’opera poetica, come sempre visionaria e misteriosa, in cui la parola, sorprendente e fluida, è danza e musica, metafora e luce, ma stavolta la sua scrittura strappa il dolore dal cuore e s’impenna per mostrarcelo infinitamente coinvolgente e sacro, in un canto che è tributo ed esortazione a ricordare insieme, quasi una lettera che in cuor suo sente dovuta e necessaria, limpidamente sofferta, alla quale lasciarsi andare.

Tiziana Marini

Ho un acino di vino tra le mani,
emilunio crescente.
Piano
fioccano i cani
sulle lente
tamerici azzurrine.
Dove sarai?
Rammenti le perline
e il disagio divino
nel sole dell’infanzia,
quel tuo primo
annusare la sera?
E pascola la luce sulla nera
tua violata presenza.
ora
che generosa faccio senza
i tuoi pascoli d’oro.

***

Abbiamo ricavato dall’alloro
il tuo volto di terra.
mia brezza nella polvere,
coscienza
radunata a garrire.
La croce è un foglio,
è un modo tuo di dire
che la storia è remota.
Inaugura un levriero la sua fioca
corsa al buio del sole.

***

Cosa importa agli uccelli della pioggia?*
Loro
vivono liberi tra il bene
e il male della remora,
dal fiuto
al pensiero nel buio,
un viso enorme,
un viso così azzurro
fra lo squillo e il baleno.
La seggiola che dondola sul seno,
un orfano sul margine dell’ala,
un bersaglio nel cuore,
il soffice flagello
delle ore
così bianche e annullate.
La tua cenere sa
le delicate
luminose parvenze
di tanta ariosità,
quelle sorgenti
al di là della sponda,
i chiari portalettere sull’onda
di una foglia annunciata.

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