Jean Portante, Concezioni

Collana Sula – Poesia del Lussemburgo
Jean Portante, Concezioni
Prefazione di Loretto Rafanelli
ISBN: 979-12-81236-25-7
pp. 124, € 15

I versi della raccolta Concezioni di Jean Portante giungono come fossero scaglie di pena e urti nella profondità delle vene, e vibrano forti, fissandosi tra ricche impennate, balzi ondulanti, sconfinamenti sintattici, alture creative; ma ciò che ‘porta’ la lingua non è un astratto procedere, essendoci nella labirintica poesia del poeta, un necessario autobiografismo. Qui, in Concezioni, ancor di più che in altre raccolte, si evidenzia tale aspetto, giacché quello che alimenta questa intensa poesia è la figura della madre, anzi della madre morente, seguita con amore dal poeta, in cento lunghi giorni. E per ogni giorno: il tintinnare delle flebo, il sole pallido che attraversa la finestra dell’Ospedale Émile Mayrisch, a Esch-sur-Alzette, le parole sussurrate; divengono lo scenario delle sue poesie, come se egli fosse chiamato a notificare il respiro ansimante che arriva alla sua ultima tappa. Ed è, la morte della madre, la fine di una grande storia, fatta di fatiche, di speranze, di rimpianti, di ricordi, molti legati a quello spicchio di paese italiano sempre negli occhi. Concezioni è Concetta, è la madre forte e luminosa che lasciò l’Abruzzo in gioventù, per poi ritornarvi, per poi abbandonarlo definitivamente per quella nuova ‘patria’, il Lussemburgo, al seguito della famiglia, come fu per altri parenti minatori. E quella morte è la fine di un epico tragitto, in cui molto si coniuga alla perdita di una terra, ma pure c’è il cumulo di  infiniti affetti, di tante vicende tra il Sud e il grigio Nord. Ma il poeta sa che ‘cantare’ una vicenda che lo traccia profondamente è pure avvertire che nel morire “Si tocca anche la fine/ Di ciò che non finisce”. Ed egli in quei frangenti, rannicchiato “nella cantina di uno sguardo”, osserva il dolente volto che pare sussurrare: “morire è anche un piccolo sguardo che passa”, mentre il lenzuolo è il suo sudario, l’“ultimo/ Strato di sonno prima che arrivi la nebbia.” Il prezioso reticolato poetico di Portante, mai invaso da retorica o sentimentalismo, riesce a rappresentare una morte attraverso una lingua che solleva dal peso della morte. Approdando magistralmente a vederne i possibili bagliori. E i ricordi, e i respiri comuni, e la forza perenne di una madre ‘circondata d’anima’. Sapendo pure che il “tempo è mendicante”, ma soprattutto che lo sguardo di Concetta è un abbraccio sereno, senza confini. E i versi del poeta sono una preghiera, una lode e una difesa, rispetto alla morte, in cui l’enigma della fine è avvolto in un sospeso controverso miraggio: “Un sonno di alberi sotto/ Le tue palpebre va verso la palude/ Pianta i suoi rami nell’aria/ Mette fango negli occhi tuoi”. E da ultimo rileviamo le implicazioni linguistiche, tanto care a Portante, relative al titolo concezioni, posto non casualmente, perché si può allargare al concepire, cioè far nascere un figlio, oppure alla conoscenza, cioè il concetto (da qui Concetta), l’idea, l’opinione, fino al concepimento (concepire con l’intelletto, con la fantasia), e, azzardiamo, il concezionismo, nel senso di fedeltà all’Immacolata Concezione, forse adorata da Concetta, per via anche di quelle radici italiane ove vi è una grande devozione mariana.

Loretto Rafanelli

Morire eppure è un’altra cosa
Perché sopra ci sono le palpebre
E al di sopra delle palpebre
Si toccano certe stelle
E quando si toccano certe stelle
Si tocca anche la fine
Di ciò che non finisce.

***

E poi vedo la nuvola
Che ha preso la forma di una nuvola
La sua bocca è blu perché ci si riflette il cielo
E il tempo esce dalla porticina
E poi la porticina si chiude
Ma io e te sappiamo
Che il tempo è un mendicante
E la sua bocca è blu
Perché il cielo ci si riflette
E il cielo non è sempre blu
Tranne quando ci si riflette la solitudine
E che lo spazza un vento che gonfia
La forma che ha preso la nuvola.

***

Porta via tutto il vento
E il fiato pende dalla tua lingua
E il tempo esce dalla tua bocchicina
Il tempo è blu perché la tua bocca ci si riflette
Ma la bocca non è sempre blu
Tranne quando ci si riflette la tua solitudine
E il tempo esce attraverso la piccola solitudine
Poi vedo la tua bocca a forma di bocca
La lingua è blu perché la nuvola vi si riflette
E il tempo esce dalla porticina.

***

Blu è anche
Ciò che prende la forma del silenzio
Bocca del silenzio con un muro ad ogni lato
Lingua blu perché non ci si riflette nessuna parola
E irruzione di solitudine in questa lingua
Non rulla più le erre né i tamburi
Rulla i cocci delle bottiglie
Che si tengono a distanza
E blu è la distanza.

***

Fai la cernita tra la distanza e il silenzio
Metti da parte ciò che oltrepassa
E l’universo intero si spacca in due
Non è blu l’universo che si spacca
Non c’è più erre in ciò che oltrepassa
Nulla erra né vaga nell’universo che si spacca
Non è blu ciò che si spacca perché non ci si
Riflette nessun silenzio.

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