Éric Brogniet, Radical Machines

Collana Orly – Poesia belga contemporanea
Éric Brogniet, Radical Machines
Prefazione di Michele Nigro

Traduzione di Chiara De Luca
ISBN: 979-12-81236-23-3
pp. 168, € 15

In Radical Machines, Brogniet non compie profezie, non fa previsioni statistiche, ma descrive, con lo sguardo disincanto e assetato di verità tipico del cercatore di parole, quel che registra intorno a sé, oggi; riporta gli effetti dell’alienazione avvenuta, e di quella definitiva ancora in fase di completamento, con una catartica dovizia di particolari anatomo-fisiopatologici che rasenta la pornografia medica; con il suo linguaggio ibrido canta la solitudine di un’era senza anima, l’avanzare di un postumano che incombe su una naturalità dimenticata; enumera senza tregua gli oggetti angoscianti e assurdi di un’epoca caratterizzata dal disumano, dalla guerra, dalla ripetizione insensata di cicli voluti e programmati da altri, da menti sofisticate e lucidissime. Si prende la responsabilità, con una terminologia insolita in ambito poetico ma affascinante, di elaborare una poetica del transumanesimo (Stiamo entrando nell’era dell’uomo in kit!), del mito dell’immortalità sacrificando il piacere del sesso che sporca, dell’illusione dell’interconnessione che in realtà ci isola; di narrare l’epopea dell’uomo-macchina – di questo incontrollato e compiacente Tetsuo, uomo non più uomo, che non contempla più gli astri perché morto fin dall’infanzia – la cui carne è invasa dalle mosche del progresso e dell’evoluzione (ma cos’è l’evoluzione se non il risultato di un’aberrazione genetica divenuta sistema?); non senza chiedersi e chiedere al lettore quale ulteriore trasformazione attende l’uomo e come verrà giudicata l’umanità di oggi dagli abitanti del futuro. Avranno continuato (accelerando verso il vuoto) a perdere anche loro “pezzi” di quel che ci caratterizza come umani? Chi o cosa diventeremo? Che ne sarà del creato? Avrà prevalso, alla fine, la finta eternità promessa dal consumismo e dalla pubblicità sulla rasserenante verità riguardante la caducità delle cose umane e naturali? E la luminosità delle lampade all’acetilene / avrà ceduto davanti al fascio crudo dei led?

Dalla prefazione di Michele Nigro

Suoni sordi tra grattacieli Città brucia nelle tenebre
Riprografia di circuiti stampati
O sole in pieno giorno – offuscato dai vapori
Immenso bruciore che la notte inghiottirà nelle sue fasce
Il dominio delle specie La cancellazione programmata della coscienza
Siamo venuti a portarvi la luce
E delle compresse di iodio
Sporgetevi alla finestra: l’orizzonte è solo a duecentocinquanta chilometri
O non è l’inferno! La proscrizione è temporanea
Il forzato conta nell’arte sottile del suo purgatorio
Le sue assenze, il suo nome nella lista grigia
I battiti del suo cuore in libertà condizionata
Tra i cespugli e la macchia della legge
Schema preparato in anticipo
Con la lampada della ragione procedurale
La solitudine la transizione il segreto dell’istruzione
Nella città sorvolata dai droni si aggirano i predatori
Un predatore può nasconderne un altro
Al convegno predicano i predicatori:
– Non possiamo tollerare il minimo disordine
Poiché nel sistema altamente instabile
Di nuove tecnologie in tempo reale
L’improvvisazione porta al caos
E in quest’assenza luminosa
Per nulla stanchi, a portata di mano
Vanno e vengono i prevaricatori
Qui comincia con l’alba la propizia opacità
Il giorno ci attende attraverso i sobborghi della pioviggine
E gli occhi elettronici della metropolitana
Sono collegati direttamente al cervello centrale
Dell’Ufficio della Repressione dei Disordini

***

Ha nevicato sulle nostre crepe
Abbiamo preso lingua con la neve
Con il bianco del lutto e della verginità
Ha nevicato sulle nostre assenze
E la luminosità delle lampade all’acetilene
Ha ceduto davanti al fascio crudo dei led
E alle immagini delle riviste elettroniche
Ha nevicato sulle nostre amnesie
E le nostre amnesie sono nevicate come amnistie
Ha nevicato prescrizioni
Ha nevicato sui nostri vuoti di memoria
Ha nevicato su tutti i nostri orizzonti

***

È sempre il primo giorno ed è sempre l’ultimo
Una cifra tatuata sul braccio una stella al posto del cuore

Così tanti soli che brillano ancora quando tutti sono scomparsi
Hanno pensato Hanno amato Hanno sofferto

Sono venuti dal nulla e tornano nel nulla
Così tanti soli tante stelle nane o giganti

La cui chiarezza ci raggiunge a secoli di distanza
Bagliori che attraversano l’infinito alla velocità della luce

Quando sono scomparsi da un secondo o un secolo
Sentite i tamburi di guerra Un fulmine

A spirale brucia all’orizzonte Ai quattro punti cardinali
Della genesi la luce fu e sulle tavole oggi

Illeggibili proiettiamo le nostre ultime cancellature
Un baccano ininterrotto dall’alba dei tempi

Basta! Quale memoria ci attraversa folgorando
Da questi abissi quali voci salgono nei dolori

E nei tormenti Quali sospiri d’estasi e quali fregole
Quali folle mormorano e portano le loro ossa

Oltre i deserti di Ziph e di Maon Sulle fondamenta
Non innalzerete idoli e farete avvertire sette volte

Il suono squillante delle trombe Più tardi quando la città
E i libri saranno in fiamme vi coprirete

Di cenere e prenderete mille volte la via dell’esilio
I poveri e terribili incantesimi vi conforteranno

Accenderete fuochi d’erbe sacre e v’inebrierete
Di sacrifici offerti sui roghi Farete penitenza

Niente mai guarirà in voi la ferita e la meraviglia di vivere

***

Nozze di sangue — lei, nel suo bustino di cuoio scuro, collare da cane attorno al collo, tesa, labbra schiuse in un abbandono di crocifissione — acconsentendo alla bocca di un Icaro ferito — alle colature nere sulla sua carne smorta — poema scarificato di un impossibile infinito — martire abbattuto in pieno volo — dal volto lacerato, dalla testa che sanguina e va inclinandosi — fontaniere oscuro di un cielo tagliato da un lampo di magnesio — tra le grandi labbra di una tenda rossa semiaperta — insieme per darsi violentemente la piccola morte prima di sprofondare in un’ultima tragedia —

***

Girate nel cielo nero o mie visioni d’astri e notti purpuree
Tra le labbra del sangue e del respiro Le vostre esplosioni Le vostre parole
Incantatrici È la disperazione che dovete mordere
O mie cagne, mie fonti, mie risorse
Al fuoco oscuro che vi apre le gambe
Nella casa degli dei la ruota della fortuna
Ha girato senza fermarsi: blocchi sono caduti
Aeroliti delle pene e delle iperboli
Sempre transigiamo con la realtà
E il futuro vi fonde le sue pallottole che ci raggiungono
In piena fronte in pieno cuore
Poeta dalla testa stellata sei pronto per non essere
Alla fine che un corpo trasparente nell’imbuto
Delle medicazioni Il giorno si guasta e si oscura
Vi vedremo i segni che fa l’uomo
Per espandersi e innalzarsi
Coglieremo la sfumatura dove trema un po’
Dell’oro della miseria e dei grandi margini?

***

Ti sposo o calma delle infinite frontiere senza eccedenza
Mia stenografia di palpebre e di fantasticherie bianche
Mia insegna, mia postilla, mio alfabeto
Che vacilla nella luce blu del cielo intero
Mie vie di fatto, mia rugiada, mio clima di dolce duello
Mio taglio dolce, mio alito umido
Che fuma nella foresta del sonno
Tremo in mezzo alle tue pietre
Dell’equivalente dell’invisibile e del leggibile
Scavalco le tue gambe da onciale o mia memoria mia memoria mia moire
E dispero tranquillamente a ciascuna delle lacrime cadute contro l’estate
A mano a mano che germogliano i semi dell’ignoto e del Lete

***

Mia vita dalle barriere di savana e campi di grano, mio latte d’inchiostro nero
Mio libro dalle serrature d’oblio, dalle finestre di stelle cadenti
E notti insonni nell’impossibile soggiorno
Inseguo il sogno del tuo sogno, la luce dei tuoi alberi e la telegrafia
Senza fine di un’assenza che sfida l’inaudito e i disastri
Il mondo muore I giornali parlano delle catastrofi giornaliere
La posterità è assicurata Così tanti sinapismi e curatele vigilano
A generare ogni mattina nuove enfasi
Non mancano né gargarismi né ampollosità
All’espressione del tragico dove il contemporaneo
Imbottiglia l’insignificanza mortifera e specula
Sulle lettere di scambio della disperazione e dell’a-che-pro?

***

Bere con il cielo
Leggere nell’albero e sulla foglia dell’albero
La genesi e l’ignoto
L’alfa e l’omega delle nostre metempsicosi
Questa luce fugacemente sorta che chiamiamo libertà
Questa rosa rossa dal cuore bucato
Il fiume e il suo fiato di bruma
Il suo passaggio in ogni stagione
Le sue nozze future con il mare
Il suo respiro di nuvola

***

Che ne hai fatto di quelle conquiste
Mutante di silicio, byte stabile
Cuore bionico che accetta elettroni?
Allora sentivi le cose
La natura intera in te eleggeva casa
Eri la piantaggine, il cardo o l’ortica
Il mirtillo l’iris e il mughetto
E ogni cosa che partecipa a questa creazione

Elevati tramite la visione Elevati tramite l’ascolto
Elevati tramite l’ossimoro!

Quando raggiungi la vetta della montagna
Continua a salire
*, dice l’Androide, guardiano delle cime elettroniche…

* Koan zen.

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