Cristina Sparagana, Strida a novembre

Cristina Sparagana, Strida a novembre
ISBN: 978-88-99274-28-3
pp. 98, € 12

Strida a novembre è un unico, lungo canto, tenuto da un ritmo rigoroso, rafforzato da una tensione che non ha cedimenti. Ogni singola parola è vagliata e meditata, molte probabilmente sono state cambiate, spostate, sostituite durante numerose revisioni alla ricerca della maggiore efficacia possibile, ma senza mai cadere nel banale. Cristina Sparagana ha infatti fiducia nell’intelligenza e nella sensibilità del suo lettore, è pienamente consapevole di non dovergli spiegare, chiarire, parafrasare tutto. Sa che la poesia giunge per svariate e sconosciute vie al cuore e che il linguaggio poetico non vive di segnali, indicazioni, divieti e spiegazioni, bensì di suggestioni che lascino libero corso all’interpretazione. Perciò le sue poesie sono spesso allusive, in molte la realtà è trasfigurata fino all’esopico o al fiabesco. Cose, persone e animali sono abbracciate dal verso che ne delinea i contorni senza marcarli, lasciando che si muovano sul foglio, che ci parlino della vita dell’autrice e della nostra, dei suoi e dei nostri cari. Anche il dolore è scritto con una grafia leggera, che non calca mai sull’auto commiserazione e sul lamento, piuttosto chiama alla condivisione e alla comprensione. La poesia è sempre espressione di un desiderio di un ascolto, la poesia della Sparagana si pone in ascolto e chiama al dialogo, senza fornire risposte, bensì adombrando domande, sfumando possibili risposte.

Chiara De Luca

Lettera a mia figlia

a Chicchi

Amore, quanta terra ho nella bocca,
e non voglio, baciandoti, annerire
la pura melagrana dei tuoi baci.
C’è una parte di te che ha ancora il peso
di un dolore nei fianchi, l’altalena
che ungeva di colostro le tue nubi.

No, tu non sei più unita a quei molari
d’insanguato ventaglio, e noci e dadi
scorrono audacemente sul tuo braccio.
Ma in me persiste l’umido timore
che le ali di un’averla o un cherubino
ti dimezzino il fondo della schiena
con un colpo di frusta, come l’ala
di un angelo da poco inginocchiato.

Ah, quanto, allora toccherei quel colpo
col mio fermo sorriso, con che fiato,
con che piccoli guanti azzurro-cielo
sfiorerei la tua piaga, il tuo garrire.

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