Alberto Amorelli – Matteo Pazzi
Elegia dell’inverno – Bestiario dell’estate
ISBN 978-88-96263-79-2
pp. 80, € 12
L’Elegia di Alberto Amorelli assomiglia a un uomo che, durante una cruenta battaglia medioevale, si ritrovi una spada conficcata nel petto o, prendendo a prestito le parole di Emily Dickinson «Combatté come chi nulla ha da perdere – / offrì se stesso ai colpi / come chi per protrarre la sua vita / non abbia alcun motivo ».
La natura trasparente e sigillante del ghiaccio si interseca con quella apparentemente finale e conclusiva dell’inverno. La sfida proposta è quella di colui che guarda in faccia la fine del percorso senza paura. Che cosa rimane a un passo dalla fine? «Se l’inverno avesse lame / sarebbero il vento tremendo / che mi soffia malinconia / sul volto rosso» (da “Statue di ghiaccio”) e «Scheletri scuri di alberi / stanno nell’immenso candore / come vergini senza pudore» (da “Scheletri scuri”).
Matteo Pazzi
Sapremo un giorno
Sapremo un giorno
quale destino ci è riservato
e abbiamo dimenticato.
Distratti dal rifrangersi
delle nostre anime
nei cristalli di ghiaccio
dei tetti d’inverno.
Abbiamo camminato
senza meta precisa
persi in silenzi comodi
come vecchie scarpe.
Sembra sempre facile scrivere dell’estate, è la stagione dei luoghi comuni, il sole e il mare, gli amori volatili, le grandi bevute, la luna e le stelle, la spiaggia e le chitarre di notte intorno a un falò. «La definivi come / la stagione della superficialità» (da “L’amore”).
È banale, l’estate.
Chiunque scrive dell’estate. È la stagione in cui qualsiasi scrittore si cimenta maggiormente, perché è comune, tutti hanno passato un’estate al mare, tutti hanno amato la ragazza dell’estate, quella che stravolge la tua vita come un uragano e poi scompare all’arrivare dell’autunno: «snella e sfrontata, imbronciata e sfuggente / dall’altezza viaggiatrice dei tuoi tredici anni, / tu eri in viaggio mentre io non ero ancora partito / questo lo capivo benissimo, / meravigliosa coricata sullo sdraio / (stella che si sveste in una stanza buia)» (da “L’estate santa”). Nell’estate si riesce sempre a trovare una base comune, un humus familiare.
Questo, almeno, fino a che non arriva l’estate di Matteo Pazzi, perché quest’estate «È una bestia a passeggio sopra a un corpo nudo, / i fianchi come un colpo di pistola rapito da un pentagramma» ( da “L’estate”).
Alberto Amorelli
Il mare
Il mare è una grande bara
tremante dietro alla pagella
di chi lo guarda.
Spada di Damocle o bivio –
la riva, una scatola vuota,
il largo, un accendino
che non si accende –
questo semieterno inciampare
di qualcosa da riempire
o di oscurità da scacciare.