Collana Encina – Poesia spagnola
Teresa Soto, Raso. Antologia poetica
Traduzione di Chiara De Luca
Postfazione di Esther Ramón
ISBN: 979-12-81236-40-0
pp. 326, 15,00
Ci sono monete che furono coniate quando il tempo tesseva e distruggeva più lentamente, come uno scrupoloso ragno tutelare. Il ragno guarda il cervo. Sepolte, consumate o perdute, si risvegliano altri sensi con la cessazione del baratto, nell’oasi di sapersi fuori circolazione. Ogni tanto trovano un alveo. Uscendo dallo stesso canale d’irrigazione che ha ammorbidito i loro stemmi e numeri arabi per secoli, lasciano che il loro valore — già incalcolabile, disconnesso — si riversi sulla semina. Pulisci una patata terrosa, un po’ deforme, e la trovi, le fai spazio nella tua casa, che si profuma a poco a poco di un aroma antico, quasi impronunciabile. Così avviene anche con le parole, con la poesia tutta di Teresa Soto; le fragranze delicatissime che escono dai suoi libri sembrano emergere dallo scandaglio di successivi sentimenti, dissodando un solco molto preciso del trascorrere dell’esperienza, che si ferma e si riavvia ad ogni lettura. Se engarzan aquí de otra manera, que es vuelta, seda o envés recuperado. Si incastrano qui in un altro modo, che è ritorno, seta o rovescio recuperato. Si scrive a filo di tela, edificando nel sottile delle capanne. La parola sottile pende da un filo. Quello che sotto i tappeti sostiene l’intera struttura, i minuziosi intrecci, le sfumature cromatiche ed esatte del ricamo; quello che non si mostra ma che, stringendo radici dimenticate, rende possibile l’esistenza della trama. Lì accade, sub tile, sotto la tela, sotto la pagina, l’estrazione minuziosa delle essenze. Come aver premuto un accordo che riverbera dove ormai crediamo non ci sia altro che silenzio. (Così si dice anche dei fantasmi). Quel filo o gugliata occulta, di lavoro inverso, si alimenta di impermanenza, registra un’eco preziosa che nessuno nota. Resta con l’onda che è stata breve sulla superficie dell’acqua, dopo che la bambina l’ha indicata con precisione di planitudes, quella che è sparita subito, ma che rimane traccia, runa del sentire senza bulino né legno, vapore di amanuense che cerca il rovescio, fuori campo.
Dalla postfazione di Esther Ramón
È il volto tuo che fiorisce
sotto questa luce. Acceso tutto, incarnato,
succhia, beve, lo rende verde.
Annaffiato, tra i miei palmi. Lo vedo
come respira. Niente sfugge ora
a questo tocco. Niente del giardino del tuo volto.
Campo di mais, i tuoi occhi. Calle e primi
narcisi che spuntarono davanti alla casa, quelli
che sono sopravvissuti alla neve,
epitomi nostri di durezza e morbidezza.