Manuel Alegre, Nulla è scritto

Collana Beija-flor – Poesia portoghese
Manuel Alegre, Nulla è scritto
Prefazione di Massimo Sannelli
Traduzione di Chiara De Luca
ISBN: 978-88-99274-29-0
pp. 148, € 12

In realtà questo libro dovrebbe essere letto da chi non si occupa di poesia. Dovrebbero leggerlo quasi tutti i vivi. Prima di tutto perché Manuel Alegre non è solo un uomo da scrivanie o cattedre. Ha conosciuto l’esercito, la prigionia e la politica attiva. E poi è un uomo, che vive e che sente. Da poeta, è quello che registra i fatti come sensazioni, e le sensazioni come fatti, e niente è abbastanza piccolo da essere trascurabile. Proprio così. Da poeta, è anche uno che deve capire che cosa sia dicibile, e quando e quanto, e perché.

Il soldato, il prigioniero, il politico – e poi il viaggiatore, l’amante, il portoghese ideale che dialoga con i suoi classici, Camões o Pessoa – si occupa anche di poetica, oltre che di poesia. Deve farlo, per forza di cose, e senza rinunciare ad un grammo del suo realismo e della sua umanità. È chiaro: se non sapesse che cosa fare con le parole – e non conoscesse l’essenza delle parole – non potrebbe agire in nessun caso, né da politico né da poeta. E il lettore – uno come tutti – ci si può rispecchiare, perché la vita senza parole consapevoli è una vita misera, quella che nessuno vuole.

La raccolta è divisa in sette sezioni. La quarta sezione è centrale, e il centro del centro è la poesia sulla Ferita di Ettore. Lì c’è tutto: chi non ha tempo di immergersi parta da lì, sùbito, e non sarà deluso. Troverà i fatti, le sensazioni e l’analisi, punto per punto: «cerca nella ferita di Ettore / quella ferita che ti pulsa in petto / cerca il sangue e la consacrazione / il prima e il dopo».

Massimo Sannelli

 

 

SAGA

Mi porto dentro un esercito perduto
da qualche parte nel mezzo della strofa
della saga scritta in una lingua dispersa.
Io stesso sono quest’esercito insensato
e questo paese dalla bandiera a brandelli
che svolazza in un campo dove perdura
di questo canto la sillaba più pura
che per un mistero mi riecheggia dentro
in ore di splendore e di disastro.
Forse perché sono io quest’insensato
di quest’esercito perduto in una strofa
e questa bandiera e questo paese e questa fine.

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