Ursula Krechel, Corpi di parole

Collana Danubiana – Letteratura austriaca
Ursula Krechel, Corpi di parole. Poesie scelte 1979-2013
ISBN: 978-88-99274-19-1
pp. 512, € 15

Quando, per la raccolta Ungezürnt (1997) misi insieme per la prima volta poesie dalle tre precedenti raccolte, Nach Mainz!, Verwundbar wie in den besten Zeiten e Vom Feuer lernen, oltre che inediti precedenti, mi trovai ad avere a che fare con le prospettive, con le vedute d’insieme. Si avvicinarono tavoli, le evidenze erano state relegate a una indistinta distanza, venne concesso spazio allo stupore, al mutismo nel parlare. Lo spazio, la furia dell’inizio stavano sullo sfondo, la specificità della partenza, anche dell’impatto, dopo la partenza. Allora come oggi dovetti escludere, per via della sua entità, un gruppo di opere che mi stava ancora a cuore e che attendeva un ampiamento: le poesie cicliche così come i poemi Rohschnitt (1983), Stimmen aus dem harten Kern (2005) e Mittelwärts (2006). La loro stessa sostanza proibiva di estrapolarne singole parti, di distruggerne la struttura. Sono destinate a successive edizioni.
Ora, vagliando poesie nell’ambito di uno spazio temporale d’ampiezza differente, mi sono invece trovata alle prese con l’intreccio dell’esistente, con catene di motivi e formali coincidenze e opposti, con la lettura del sottotesto, che forse sarebbero stati più evidenti in un corpus di testi più esteso, origine e futuro del lavoro estetico. Un intero gruppo di testi assorbe in sé il dialogo interiore dei poeti; accoppiamenti e partiture, l’appellativo elogiativo e il pretesto, il commento. Eppure i gesti di esclusione restano visibili: dalla compiuta frattura a una ulteriore rifrazione, dal congedo alla diversità, la luce irrompe, una tonalità, che ricorda lontanamente una peculiarità desiderabile: saggezza/bianchezza, sessualità e una luce notturna brucia ancora. L’oscurità si rischiara all’improvviso. E il buio parla della luce. Dalla possibile variazione stupita della cronologia è nata una successione temporale, nella quale è inscritto l’incerto futuro degli emigranti, così come la decostruzione di una (ogni) certezza. Questa piccola casa sarebbe potuta diventare una tenda, il senso della possibilità domina la logica linguistica. La poesia la sua empatica affermazione è una certezza? Affermarlo potrebbe essere un’ingenuità che dà le spalle al testo. Metterlo in dubbio potrebbe costituire la fine del continuum del processo poetico, una conseguenza del tutto indesiderata. Il processo sembra interminabile.

Ursula Krechel

Nell’ottava casa

Di nuovo lacrime di pomeriggio
guardando fuori dalla finestra
le culture di miele degli impiegati
primule cinabro tutto uno zelo d’api per nulla
sporcizia raggrumata.
Nessuna luna ci vuole apparire
nella luce stanca, nessun sole
nell’ottava casa. Così passano oltre i desideri
hanno lasciato padre e madre
nessun paese li accoglie
senza lettera e sigillo e impronte digitali.
La terra innaffiata di lacrime
rivestita di calcestruzzo fino all’ultimo albero
la pace appiccicosa ancora per quanto
guardando fuori dalla finestra
a questo paese. Liquido
zampillò dagli occhi sul calcestruzzo
guardando fuori dalla finestra.

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