Collana Orly – Poesia belga contemporanea
Yves Namur, La tristezza del fico
Prefazione di Stefano Serri
Traduzione di Chiara De Luca
ISBN: 979-12-81236-08-0
pp. 162, € 15
È ape il poeta, fa lunghi giri, con “fatica, felicità e mistero”, come diceva Cechov della vita nelle Tre sorelle, e colpisce vedere anche in questo libro, esplicitato, il rapporto tra poesia e fatica. Le api sanno dove andare, e vanno, più e più volte, allargando il cerchio delle loro ricerche, e ritrovano quello che già conoscevano: anche in Namur, è la poesia che ritrovi (la poesia non si trova, si ritrova) in fondo alle volte, ai confini del giardino, accanto ai pozzi.
Nelle ombre, soprattutto, e l’autore lo dice chiaramente: il fico è soprattutto ombra, entrare in questa ombra è l’esperienza che il poeta racconta, il poeta è definito «il semplice e docile servitore delle ombre», ma l’ombra, anche quella dell’ape, è menzogna, il poeta un falsario, un falso pastore.
È anche una poesia-casa, ma casa vuota, bucata, un alveare silenzioso, un asilo di riparazioni, piena di passaggi da una stanza all’altra, anzi, le stanze forse non esistono, non sono delimitate, porte e recinti non sappiamo più a cosa servono.
In questo libro infatti nessuna poesia basta a se stessa (come nelle Sacre Scritture: una parola si spiega solo nelle altre parole) e l’autonomia del testo lascia il posto al flusso, riconoscendo che, per tentare un discorso (e non solo esaurirsi in un canto cieco), ci si deve interrompere, si deve ripartire, ripetere, spargere. Allora le poesie s’inseguono, non ci sono stacchi netti, si modulano gli stessi temi, si variano le stesse decorazioni. Nemmeno l’Apocalisse è definitiva: dopo la polvere, ancora si scrivono versi.
Qui la poesia è più nitida che lucida e i pensieri senza rose non esistono, capaci di farsi da sé, come in Emily Dickinson (quanto deve a lei questo libro, questa scrittura, certe poesie come Scrivere una poesia). Si attraversa il pianeta scorrendo le creature, arrivando a dedicare una sezione a Frate silenzio, talmente tangibile che il poeta deve correre ai ripari e porre un veto, impedendoci di andare oltre – ma questa barriera è un cancello, non un muro pieno.
Come in Rilke, altro nume tutelare di questi testi. In lui la luce trova sempre un modo (fessura, altezza, fuga) per venire a noi: sempre prigionieri gli uomini, ma nessun muro sbarra i sensi del poeta, racchiuso in una cella traforata, dove lui può sporgersi, dove il mondo s’infila. Non è il dentro, non è il fuori. Un passaggio che diventa paesaggio; aria e luce e suono, questo conta.
Dalla prefazione di Stefano Serri
Il poeta dice che con parole semplici
Si costruirebbe facilmente una casa.
Ma non importa quale casa:
Una casa senza finestre, senza tetto,
Una casa con grandi buche.
Che la luce
E i rumori esterni possano così entrarvi,
Che la pioggia possa cadere all’interno
E che tutto questo inondi tutti i piani e tutti i pensieri della casa.
Sarebbe, dice, una casa bucata.
E talvolta mi dico che ha ragione il poeta:
Basterebbe un niente, un minimo niente.
Perché una casa uscisse anche dalla poesia che scrivo ora.
*
Poeta,
Non ingannarti guardando gli esseri umani
Camminare con gli esseri umani:
Vivere è tutt’altra cosa
Che indossare un mantello di lacrime
O anche tutta la collera nera degli dei.
Vivere,
È qualche cosa di più
Che semplicemente parlare dell’ape, del miele dell’ape,
Del ronzio dell’ape, del fiore
Dell’ape.
Vivere, è qualcosa di più
Di tutto questo.
Ma tu, poeta del poco e del niente,
Saprai davvero un giorno cos’è vivere,
Vivere infine fuori dalla poesia?
*
Trovo che non ci sia nulla di vero:
Sia nella pioggia che adesso sta cadendo,
Nella forma quadrata della mia casa, nei miei pensieri oscuri
O nell’odore di carbone del bosco,
Davvero,
In tutto questo non c’è niente di vero.
Come non trovo più vero o più reale
Il cavallo che corre nella prateria, il lavoro delle formiche
E tutto l’amore che si mette sempre al di sopra dell’amore.
Ma forse sto scrivendo tutto questo
Perché non ho nient’altro da dire oggi,
Perché una poesia si sottrae sempre a questo o a quello,
Forse anche
Perché la vita è altrove ben più spesso di quanto si pensi.
*
In una poesia,
C’è senza dubbio fatica, molta fatica.
Ci sono anche api e battiti d’ali nere.
Case vuote, case piene
E molte case vuote.
Ci sono anche in una poesia mucchi di polvere.
Mucchi di pietre, discese dolci
E discese ripide.
In una poesia,
C’è senza dubbio tutto quello che un uomo può avvicinare.
Tutto quello che può o che vuole ancora conoscere.
Ma c’è anche questo chiarore fragile,
Questa chiarezza impercettibile che lui solo conosce,
Che attizza la mancanza
E il vuoto
Che ancora gli volteggia tutto intorno.