Snáthaid Mhór – Poesia irlandese contemporanea
Thomas Kinsella, Notizie dalla terra dei morti
ISBN: 978-88-96263-01-3
pp. 130, € 12
“In un saggio sull’importanza dell’elemento autobiografico nella poesia di Thomas Kinsella, il critico Taffy Martin sostiene che la sua poesia “può essere letta come una battaglia – meticolosamente orchestrata, circolare più che lineare e volutamente infinita – tra la funzione passiva e al contempo cinetica dello specchio da un lato, e i segreti creati, e, soprattutto, generati e di volta in volta proiettati dallo specchio”. Lo specchio è un elemento onnipresente nella poesia di Kinsella, una poesia in cui la suggestione autobiografica travalica l’identità dell’individuo, che, seppur visto nella sua unicità, diviene simbolico di una coscienza collettiva che si riflette (riconosce o disconosce) nelle cose.
Nel caso di Kinsella, possiamo parlare di un’autobiografia che si fa poesia, piuttosto che di una poesia autobiografica. L’“io” del poeta, pur nella sua prepotenza, nella decisione del suo delinearsi nell’universo poetico di Kinsella, non è che uno strumento (cinetico e passivo al pari dello specchio) della realtà che lo circonda. Lo specchio è simbolico sia della coscienza del soggetto, sia di una coscienza immanente esterna a lui, che gli restituisce la sua interiorità, plasmata, spesso deformata, dall’incontro-scontro con la realtà che lo circonda. Paradossalmente, questo io all’apparenza
Dall’Introduzione di Chiara De Luca
DONNA GALLINA
Il mezzogiorno scaldava il cortile
odoroso di calma e tuoni in arrivo.
Una gallina raspava e beccava per terra.
Si fermò, il suo corpo si acquattò e gonfiò.
Pareva che il silenzio incombente dicesse:
“Sss…”.
La porta della fattoria si aprì,
un buco nero
in una parete bianchissima così luminosa
che gli occhi si strinsero.
All’interno, un orologio mormorò “Don…”.
(Avevo provato tutto questo già prima…)
Lei uscì a precipizio in pantofole
brontolando, con la faccia scura di rabbia,
e raccolse la gallina che si divincolò
languida. La mano di lei cercò goffa di prender-
la.
Troppo tardi. Troppo tardi.
La gallina mi fissava con occhi di sasso
(quale folle ricordo confuso vedeva?).
Nello sfintere sbucò un uovo bianco;
bocca e becco si aprirono insieme;
e si fermò il tempo.
Nulla si muoveva: uccello o donna,
chi goffo era preso o chi goffo prendeva
– bloccate là
(come dovevo essere anch’io) a bocca aperta.
*
C’era un movimento minimo ai miei piedi,
minimo e meccanico; guardai giù.
Un coleottero come una foglia di bronzo
sul cemento avanzava a piccoli passi
abbracciando con le zampette
una palla di sterco più grande di lui.
Il ciglio dentellato premette umilmente la terra,
si sollevò in un’occhiata, si riabbassò;
la palla di sterco avanzava, impercettibilmente,
perdendo qualche frammento,
granelli di stantio e freschezza.
*
Brontolio di tuono a grande distanza
– tempo non ancora fermo del tutto.
Vidi che l’uovo si era mosso un poco:
un cervello tenero e bianco
sotto torsione, un nuovo mondo intatto.
Mentre guardavo, si compiva il mistero.
Il nero zero dell’orifizio
si contrasse divenendo un punto
e il bianco zero dell’uovo pendeva libero,
picchiettato di umori verde palude.
Girò lentamente e cadde.
Come in sogno, infastidito dalle dita spianate,
volteggiò fuori, bianco come la luna,
senza lasciar tracce nell’aria,
cominciò la sua caduta verso la terra.
*
Ancora me ne cibo, vedi;
non c’è fine alle cose che,
pur senza capirle, possiamo notare
e nella fantasia custodirci
nel tuorlo, per così dire, dell’essere,
e lì subire il suo crescere (quasi animale),
separando alla cieca,
contraendo, colmi di desiderio,
cercando nel suo stesso tessuto
la struttura
nella quale potrebbe svegliarsi.
Qualcosa che – aderendo
alla sua cavità – non era stato
adesso era: un uovo di essere.
Cadde per quel che sembrò un anno intero
come continua a cadere, per me,
solido e leggero, mentre l’oro rosso batteva
nel suo ventre d’argento,
vivo come il tuorlo e il mio bianco
dell’occhio; poiché continuerà
a cadere, probabilmente, fino alla mia morte,
attraverso i vasti spazi indifferenti
che di vuoto mi colmano.
*
Si spaccò contro la grata
Scivolò veloce si sottrasse alla vista
e sparì in un comico guizzo.
Il morbido guscio spugnoso rimase attaccato
un po’ ancora, poi scivolò giù.
*
La donna stava a guardare, piena di rabbia
impotente.
Poi le si accesero gli occhi, e rise
e la lasciò andar via svolazzando.
“È uguale.
Ce n’è molti di più nel posto da cui proveniva!”
Tutto è uno!
Era un mondo semplice.