Stefano Serri, Nonostante la fine del mondo. Poesie tra le crepe dell’Emilia

Stefano Serri, Nonostante la fine del mondo. Poesie tra le crepe dell’Emilia
ISBN 978-88-96263-76-1
pp. 72, € 12

Oggi che alle storie letterarie si preferiscono le geografie e che – nell’ampia gamma dei punti di vista critici e degli insegnamenti universitari – si fa tesoro con impegno sempre maggiore di una disciplina in fieri ma già promettente come la geocritica, proprio oggi si deve constatare che esistono poeti forti (non importa se ancora molto giovani) in larga misura dipendenti dalla stratificazione locale e culturale del proprio ambiente di nascita e di formazione. E questo non limita la loro originalità, anzi la fortifica. È il caso evidente del giovane modenese Stefano Serri, che ha il coraggio di muovere i suoi primi passi di poeta dalla soglia solo all’apparenza non varcabile delle Poesie della fine del mondo (1961) del grande Antonio Delfini e dal trauma del terremoto di fine maggio 2012, che ha gravemente lesionato – tra l’altro – anche la Villa Delfini a Disvetro di Cavezzo, trasformando in incipiente rovina uno dei cronotopi decisivi dell’opera del maggior scrittore modenese del Novecento. Ma l’intento di Serri non è nostalgico né celebrativo, bensì a pieno titolo conoscitivo, nel suo intreccio vertiginoso di dati memoriali, soprassalti onirici, dati diaristici ed evenemenziali, polifonie autenticamente dialogiche: una poesia essenziale e benissimo ritmata – la sua – che, fatto assai raro in un giovane, svela da subito la necessità profonda del verso, fondato su un equilibrio prosodico davvero ragguardevole.

Alberto Bertoni

Ciò che Stefano Serri sa fare – e lo sa fare bene – è non cadere nel lirismo troppo acceso, pur non rinunciando a puntare verso la vetta. In questo, un grande pregio della sua poesia – e un pregio che rende Nonostante la fine del mondo un raro esempio di libro “a tema” ben riuscito in forma e sostanza – è quello di evitare una troppo scoperta poesia del quotidiano, come un ciclista evita le buche. In questo esperimento si poteva fallire in diversi modi, due su tutti a parere di chi scrive: esagerare nel compianto, o abbandonarsi alla retorica dei piccoli gesti che salvano. Le due cose, in realtà, coesistono nei componimenti di questo volumetto, ma le dosi sono ottimali, e l’amalgama garantito da una lingua pulita e accessibile – nonostante le dolorose e spesso suggestive inarcature della sintassi – restituisce un elaborato di grande effetto e sicuro piacere della lettura.
Credo che il lettore si troverà di fronte a un ottimo esempio di che cosa significhi scrivere poesia bilanciando l’emozione e la parola soppesata, l’afflato che nasce nell’immediato e il pensiero che fa sintesi delle mille sensazioni che i nervi restituiscono quando l’urto della storia si fa forte e improvviso.

dalla prefazione di Marco Bini

Ascoltami vicino

Ascoltami vicino:
la sera delle cose non è la nostra fine

re di una notte illune
ma poi popolo luminoso

meravigliata la natura dentro
si moltiplica: chi nasce
credilo come la radice insieme crede
alla terra e all’acqua che ci sfama
chi nasce è un altro seme.

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