Collana Swallow – Poesia della migrazione
Michael Schmidt, Una parola che il vento ci ha passato. Poesie 1972-2015
ISBN: 978-88-99274-16-0
pp. 530, € 15
“Chi gettò la radice d’ogni cosa tanto a fondo / che nulla vola via di quel che nominiamo? / Perché possiamo ridere e poi subito piangere / e dare un nome al ridere e alle lacrime? / Qual è la malattia che ci oscura gli occhi? / – Siamo umani perché siamo soli: // tocchiamo e parliamo, ma il silenzio segue / le parole come un’ombra, la mano si ritrae.” Così nella poesia “Parole”, presente nella raccolta d’apertura di questa ricca selezione antologica, Michael Schmidt individua le cause della malattia che ci affligge in quanto esseri umani: la necessità di nominare le cose, piantando le radici della parola nel terreno dell’esperienza indelebile; l’urgenza di spiegare il mondo, piegandolo alla nostra capacità di comprensione, cercando di dare a sentimenti e sensazioni corpo di linguaggio, sapendo però che il silenzio è sempre in agguato, come un’ombra indissolubilmente legata alle parole stesse, e alle esperienze e situazioni, ai sentimenti e alle sensazioni che il significante di volta in volta incarna e riverbera, come una proiezione di significato che non possiamo afferrare e che ci lascia vuote le mani. Di tutta la luce che crediamo di gettare sulla nostra solitudine esistenziale non resta quindi che la notte della nostra stessa essenza di creature transitorie destinate a svanire coi cerchi concentrici dell’eco di ciò che diciamo.
Dall’Introduzione di Chiara De Luca
Vanità
Lei filava. Sapeva che lui la stava ascoltando.
Filava e lui prese del filo i capi consumati.
Qualunque cosa stesse dicendo, era cotone,
poi mentre lui si avvolgeva il filo tra
indice e pollice esso divenne di seta,
e quando prese l’ago per infilarlo
il filo divenne il più fine oro sottile.
Lui sapeva di non crederle ma lo prese
perché lei continuava a filare come il vero
le si stava sbrogliando tra le labbra; lui le guardò.
Cotone, seta e oro, voleva che lui
prendesse il filo e perfettamente cucisse la ferita
sebbene lei tenesse ancora in mano la lama
dietro la schiena, e stesse gocciando, fumando,
là sotto il braccio sinistro di lui lo squarcio era aperto
come una bocca incredula. E lui le credeva.