Nuno Júdice, A te che chiamo amore

Collana Beija-flor – Poesia portoghese contemporanea
Nuno Júdice, A te che chiamo amore
ISBN 978-88-96263-47-1
pp. 148, € 12

Nuno Júdice traspone la Storia e i miti della passione nel momento stesso in cui la sua poesia avviene, attualizzandoli e disintegrandoli al contempo. Come se tutta la saggezza dell’amore si sciogliesse in oro liquido per disegnare la gioia unica che rappresenta ogni incontro amoroso. In tal modo, le sue poesie, profondamente cariche di riferimenti, possono essere intese e amate anche dai lettori che non vi abbiano avuto accesso in precedenza. L’autore riesce a fingere di non essere uno scrittore erudito, per osare avvicinarsi all’amore come fosse il primo essere umano che ne fa esperienza – e scrivo “essere umano” perché, nonostante il continuo riferimento alle muse, questa poesia non appartiene in realtà ad alcun genere, né ad alcun tipo di codice di reverenza (ciò non toglie che si diverta a distruggerne olimpicamente alcuni). Nuno Júdice non nasconde ciò che ha letto, appreso e che sa – ma è abbastanza intelligente da non lasciarsi sovrastare da questa quantità di informazioni. La sua scrittura integra quel che il poeta ha letto, quel che ha visto (la dimensione visiva è in essa straordinariamente rilevante), nella stessa forma in cui avvengono l’apprendimento e la mutazione nel quotidiano: Nuno Júdice non distingue caste culturali; per il suo costante impulso creatore, tutti gli stimoli si connettono su un piano di tranquilla e inquieta uguaglianza. Questa scienza combinatoria delle multiple dimensioni della conoscenza è responsabile della trasparenza luminosa della voce di Nuno Júdice – ed è, soprattutto, il motore della sua intensità polifonica.

Dalla prefazione di Inês Pedrosa

INNO

Riconosco la voce errante e distante, il soffio
sommerso nella voluttà dell’ombra, il castano chiaro
dei capelli sterili in un ritratto di epilogo. Ri-
conosco il freddo numero dell’acqua, la notte perduta
in un fiato d’angeli, nel grido di fonte dell’oca.
Questa notte sospesa di un deliquio di nebulose,
immobilizzata dal tremito dei preludi, frettolosa
amante nella discesa degli abissi, avanzò, breve marea,
sommergendo la oscura nudità delle stelle nel
finito oriente dello sguardo. Riconosco la rupe
del desiderio d’eternità assopito, un fluttuare
di precipitazioni nel ritmo delle palpebre, nel si-
lenzio, vago magnete dell’impazienza. Mormorio
di genesi nel posarsi delle dita, orlo dei confini
nell’abdicazione del gesto. Magico cerchio divino.

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