Yannis Livadas, La Chope Daguerre

Collana Phoenix – Poesia greca
Yannis Livadas, La Chope Daguerre
ISBN: 978-88-99274-72-6
pp. 76, Є 12

Se un poeta parla a un muro o a una finestra, indaga il passato che là dietro si è svolto, anche in sua assenza, e allo stesso tempo interroga il futuro. La Chope Daguerre di Yannis Livadas è un lungo dialogo con muraglie ininterrotte di numeri civici, pubblicità e necrologi, tra rari spiazzi dove bighellonare in cerca di occasioni. Non abbiamo poesie, ma un discorso: gli spazi bianchi, respiri più lunghi, sono pause per bere o per ruotare la cartina del racconto. Più volte ci troviamo a sbattere contro un muro del pianto, la stanza di un amico morto. S’affaccia una donna, tra impalcature e bottiglie vuote. Affiorano personaggi secondari, dal flusso di questa odissea urbana, brevi assoli come nel jazz che tanto è caro a Livadas, insieme ai beat e a Blaise Cendrars, viaggiatore inusuale, poeta delle intermittenze. E questo poema è un neon che a intermittenza illumina la città, in un continuo altalenare di luce/buio: buio che azzera l’occhio stipato di incontri, luce che mostra, improvvisa a inclemente, il vuoto (ma era bello, in quel lasso infinitesimo di oscuro, sperare). Intermittenti sono i poeti, che possono impiegare cento versi per dartene uno vero, o che mettono l’opaco su parole troppo chiare e aguzze. Intermittenti tutti noi, accesi/spenti, senza credere definitivo alcun interruttore, che sia una donna, un amico, la morte. Accesi, spenti, e accesi nuovamente.

Stefano Serri

Già, un nulla passato, diventa una cosa nuova,
Esigendo un seguito alla vivacità del vuoto.

Di tutte le strade di Parigi
Una sola è sulla carta

Rue Jean Dolent
I muri bianchi del tuo ultimo alloggio al 23 —

La prigione di fronte piccionaia i prigionieri
Vedono la cella dove hai vissuto

Io nella tua strada sono uno in più
E quasi sconosciuto
Le guardie mi hanno detto « vietato fotografare »
Non sapevano per niente chi sei
Chi eri
Poi la loro auto è ripartita
Ho camminato nella tua strada
Una volta una sola con la mia voce
Murata
In questa lingua universale r e s t r i c t e d a r e a

Parigi non è nulla
Di fronte alla tua finestra chiusa

Tutti mi dicono guarda il fiume ma non voglio
Tuffarmi nemmeno per raggiungere l’Atlantico
Dietro a una cicca piena di saliva
Da dove il poema inizia
Da dove non importa

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