Rodrigo Garcia Lopes, L’enigma delle onde

Collana Mariposa – Poesia brasiliana
Rodrigo Garcia Lopes, L’enigma delle onde
Traduzione di Chiara De Luca

Postfazione di Stefano Serri
pp. 254, € 15
ISBN: 979-12-81236-16-5

 L’enigma delle onde è poesia & politica, mette in guardia dalla falsa o presunta poesia, dalle circostanze avverse del linguaggio, dai malintesi di verità, dalla perdita di chiarezza che contraddistingue la speciosa affabulazione di qualche intellettuale, di molti esseri umani. Poesie con i campi da compilare, poesie che mandano a farsi fottere, poesie gourmet. Poesia sempre e comunque? Manco per sogno: se non ne vale la pena (vedi Spa), la poesia, buttala via, fai altro, rilassati, divertiti. Il mondo andrà avanti lo stesso.

Nessun vate pensoso e immobile: il poeta deve correre, maratoneta o centometrista, come in Mattina a Olimpia. Lo vedrei bene, questo testo, come prologo a tutti i festival, corsi, convegni, a tutti i celebrarsi vuoti e parlarsi addosso spenti, a tutti quei ritrovi di passanti che si credono monumenti – dove due o tre poeti sono riuniti, state attenti all’ego, droga potente di ogni tempo.

Ma la pioggia, l’acqua, l’onda, continuano a chiedere, loro con noi: se non siamo poesia, cosa siamo? Siamo davvero un Canto unico e irripetibile, acqua comunque e in ogni forma, schiuma e spiaggia, e in mezzo la poesia come frangiflutti?

È vero, in questo libro è tutto così post-moderno, questa mercificazione liquida già ce la sbattono in faccia da decenni molti artisti. Ma è questo il guaio: ci siamo ancora dentro, molto, molto dentro. Abbiamo ancora mille quotidiani esempi (giornalisti, professori, vicini di casa, altri poeti) per esercitarci allo svelamento di quella lingua-massa che tenta di diventare l’unico strumento di comunicazione. E non solo di comunicazione, ma anche di espressione: anche l’arte, anche i romanzieri tuttologi in seconda fascia serale, i video postati per piangere la morte dei patri padri, le cartoline quotidiane che alcuni si sentono in obbligo di inviare a orari regolari per rassicurarci: m’esprimo, dunque sono… Piuttosto, chiudiamo le parole delle finestre / e apriamo le finestre delle parole. Cambiamo aria. Tacete un attimo, stronzi, ci dice Rodrigo Garcia Lopes dai suoi versi. E non facciamo finta di scordare che l’homo scribens non è un animale sociale (vedi Breve storia della solitudine). E non facciamo finta di non sapere chi sono i nostri nemici: i nemici non del nostro Paese, ma nel nostro Paese (vedi Barbarie).

 Dalla postfazione di Stefano Serri

 

 Mattina a Olimpia

In una disputa
per il podio della Musa
non tutti i poeti
sono uguali.

Che tutti trottino e sudino
non ci sono dubbi.
Nei piedi di alcuni, musica.
In quelli di altri, odio.

Alcuni si allenano di più,
altri neanche si allenano:
solo tramano.

Alcuni preferiscono il tapis roulant,
altri, la strada.
Tanti la fama.

Del velocista, l’urgenza:
dal nulla, esplosione.
Il successo dipende
dalla partenza.

Sorprende
i 100 metri
in meno di 10
secondi
(come epigrammi, haiku).

D’altra parte il fondista emoziona
per la resistenza.

I 42 canti
di una maratona.

Si,
ci sono casi
di doping.

Non presumono
che la vita
non si riassuma
in una corsa

I piedi ammortizzati
sponsorizzati dalle dee Nike,
Olympikus, Adidas.

Lentamente, a volte,
si va molto lontano.

D’altra parte l’urgenza, se vacilla,
Inciampa
nella propria stessa
ambizione.

Quello che, alla fine,
si piglia:
l’illusione, infine, il sole
di una medaglia.

Lo sguardo del velocista
incrocia quello del fondista per un istante
prima della gara:
è una pista.

Una freccia con fuoco
colpisce la pira olimpica.
C’è molto in gioco.
È tutto o niente.

Velocista o fondista,
ci vuole focus,
la mente collegata
(ricordate la favola).

In entrambi, il fiato
come misura del tempo

e, imparata a fatica,
la calma dei leoni,
la saggezza dei campioni:

mai festeggiare
prima di tagliare
la linea del traguardo.

Spa

Se il giorno grigio trasforma
la magia del quotidiano
in prosa
E se la musa antica appare
sfuggente e depressa
E se quella poesia
che doveva essere un capolavoro
con la sua verità vaporosa
la sua posa da pascià
non vale più la pena
non ha ragione di essere
non trova più lettori
né causa più sorpresa
parla solo di se stessa
cose come una rosa
è una rosa, e basta,
non c’è problema:
affretta la prosa
lascia la posa rancorosa
afferra la vita in sua attesa
fatti una canna
rilassarti e divertiti.

Pandora

Panico, pandemia, pandemonio:
è il nemico invisibile, è il nuovo demonio,
è la faccia coperta da un pezzo di panno,
è l’umano che reimpara a essere umano.
È una processione di bare per le strade di Torino,
è il blu traslucido del cielo di Pechino.
È il papa che prega in San Pietro deserta,
sono le acque trasparenti dei canali di Venezia.
Sembra molto tempo che è successo tutto quanto,
intrappolati con il Minotauro e Teseo nel labirinto.
Legioni di disoccupati a Teheran, San Paolo, Parigi.
I marciapiedi di Guayaquil sono pieni di cadaveri.
Stanno inchiodando rivestimenti sulle facciate.
Tutte le frontiere sono state bloccate.
Medici e becchini sono esausti.
I giornali non riportano più l’olocausto.
Sono mucchi di corpi-numeri coperti da un velo,
Sono poesie che non lasceranno mai il foglio.

I prigionieri sbattono pentole, invocano un mago,
puma invadono i viali di Santiago,
è la vita che pulsa tra pietra e spada tratta,
è il presagio di un’economia globale robotizzata.
Sono veglie e centri commerciali vuoti, spiagge deserte,
è una rinascita all’inizio, un’era alla fine.
È il silenzio assordante e la paura di morire,
è il tempo di leggere tutte le opere di Shakespeare,
è la chance di essere il più grande esperimento
di controllo sociale d’ogni tempo.
È un esercito bianco che igienizza le città,
è un pianeta in quarantena per l’eternità.

È un uomo che uscì dall’isolamento e non fu mai più visto,
sono fanatici che gridano che Il Virus è l’Anticristo.
Sono angeli in fermento sopra i cieli berlinesi,
sono amanti che infine imparano ad amarsi.
Nessuno sente più i moribondi con grida strazianti,
oggi a Wuhan i metro sono di nuovo circolanti.
È la solitudine obbligatoria, è uno stato d’assedio,
sono i coyote che vagano liberi a San Francisco,
È un fiore che sboccia in piena tempesta
(perché alla fine forse di tempo non ne resta).

È la solitudine futuristica di Times Square,
è il suicida che raggiunge un revolver.
Sono navi da crociera cui è proibito attraccare,
sono gli ospedali stipati a Milano, Rio, Dakar.
Ghiacciai sono ancora in caduta, uccelli in volo,
c’è un tramonto lontano, splendido e solo.
È vivere tra le pareti delle parentesi
in reticenze che si allungano come mesi.
È il mondo intero in stand-by,
è il corpo che lotta per l’aria.

Ultime notizie

Il governo ha annunciato il nuovo gabinetto dell’impero dell’impermanente e la Polizia Federale ha sequestrato i lillà le dalie le valanghe nell’operazione delicata dell’autunno.

Comincia oggi la più grande festa delle foglie false che sbiadiscono nel vento umido di marzo.

Le migliori offerte si trovano solo nell’origine dubbia delle risorse delle rocce, nel linguaggio delle conchiglie, nelle correnti oceaniche con l’avallo della prua delle barche.

La società civile deve prendere posizione contro l’eccesso di fiori fuori stagione, le linee sottili dei tronchi, le liane, la linfa che succhia la voce del verde.

Nel suo primo discorso, il ministro del meraviglioso scaccia l’attesa e calma la fitta ombra.

Il grande classico di questa domenica è tra la linea tesa dell’orizzonte e la figura dei solitari nelle finestre degli edifici.

Le squadre hanno ripreso mercoledì mattina il salvataggio tragico delle penombre filtrate del prugno, la tenda tremolante dei silenzi al Café Déjá-vù.

Guarda le previsioni del tempo di ieri, la profezia delle metafore, l’anatomia della sorpresa.

Le ricerche indicano la vittoria del presidente in fuga, tuono magico, del recital ripetuto dei gabbiani e dell’ordine di queste mattine di Omero.

A testimonianza del CPI, le onde di smeraldo sbottonano le loro camicette e rivelano lo schema delle creste e dei pozzi e il ruggito del mare.

Aumenta a 14 il numero di stelle viste a questa distanza, a sinistra di Orione.

Il mercato ha frainteso la notizia della fuoriuscita della nebbia sulle montagne, il sogno degli uomini, questa dannata volontà di durare.

Solstizio

Il silenzio cementa la strada stretta che conduce
al mare. Luce del sole obliqua, avara, inverno
di vetro. Cielo sereno, gelo certo sulla Sierra.

Aria polare.
L’Impero della Lana.

Airone bianco su toro nero. Acqua brusca, in qualche posto,
mormora in esultanze di pietra. Impronte: un rosario,
fiordi silenziosi nella mente, spiaggia di schegge.

Ombre di pietra, mute mentre evocano
il loro volo di vele grigio-verdi. Isola ghiacciata, grata
e tranquilla accettazione di quei misteri.

Sulla spiaggia, giugno

Avere vissuto in un mondo
dove le nuvole erano bianche spugne
che diluivano un cielo bizzarramente blu
gazze azzurre sui rami del nostro balcone
e le schiume d’intensi istanti
soffiate furiosamente da un vento del sud
tra i fischi dei pescatori la mattina presto
gli occhi che costeggiano le isole distanti
prima di masticare la nebbia
i nostri corpi soddisfatti e ancora caldi
leggendo le piste che i detective notturni non hanno seguito
i piedi che imprimono il loro passaggio
la sensazione di una vita che accade
pulita come la sabbia dopo l’onda.

Insulare

Il villaggio dorme solitario sotto la pioggia,
immenso cane grigio sui
sogni di sabbia che il mare cancella.

La mente: stracciata
bandiera pirata.

Cieco, il cuore (compendio
di vecchi silenzi) cammina
nel cortile deserto della notte
attraverso le esplosioni dal lungomare.

In trance, il cielo accarezza
ciò che il mare oscuro annega:
lettere al rallentatore.

È la lingua che affonda
Alla ricerca di una voce

se fosse un sentiero
nel lutto
della luce
le onde ghiacciate
del mio discorso
erigerebbero un’isola.

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